martedì 30 maggio 2017

METROPOLIS storie di metropoli e altri paesaggi






Genere: antologia
Autori: Vari
Editore: Ensemble
Pagine: 104
Prezzo di copertina: €12





È sempre un piacere per me partecipare alle antologie di Ensemble. Sono fresche,moderne,scorrevoli,varie. E questa contiene anche una piacevole sorpresa: diverse illustrazioni grafiche originali e graziose, a volte coi simboli delle città circondati dalle parole delle canzoni a loro dedicate, a volte su sfondo bianco, tutte nello stesso stile della cover.

I racconti ci parlano non solo di paesaggi, ma anche di personaggi, a volte reali, a volte di fantasia, che si muovono come ombre o da protagonisti per le strade delle loro città, siano essi metropoli o piccoli paesi.

Il primo racconto è “Una nuova primavera” di Nicoletta Fanuele, un doloroso addio al proprio paese: il luogo non viene mai nominato , perché potrebbe essere qualunque città. Lasciare le proprie radici è sempre doloroso.
Segue Maria Cristina Barbolini, che ci porta a fare un giro tra le strade di “Modena”.
C’è poi il mio racconto, “De Urbe Aeterna”, un omaggio che avevo in mente da tempo alla mia città, che compare molto spesso come sfondo per i miei racconti, ma di cui non  avevo mai elogiato a sufficienza e in maniera sistematica la bellezza. Ho rimediato con questo racconto, dal finale a sorpresa.
Anche “Prima che venga il giorno” è ambientato a Roma, ma una Roma più difficile e dura di quella raccontata da me.brava l’autrice Francesca Pratesi, un racconto che ho apprezzato.
Segue l’originale resoconto di un parto al San Camillo, ospedale romano, di Deepa Minasi, "Una foca incinta".
In “Un sogno nel cassetto”, Francesca Pratesi ci racconta di una donna chiusa in macchina sulla Tangenziale Est (ma potrebbe essere qualunque tangenziale trafficata del mondo), e si perde nei suoi sogni, letteralmente. Da un certo punto di vista mi sono ritrovata nel personaggio, ma credo che tutti coloro che scrivano si siano rivisti nella protagonista…
Valerio sul ciglio della strada” di Simone Carucci è un racconto che definirei sperimentale: un flusso di pensieri, azioni e coscienza del protagonista. Davvero originale.
Segue un altro racconto di Francesca Pratesi, “La cantante”, protagonista una donna misteriosa che canta nei vagoni della metro. Molto toccante.
Seguono tre racconti che tali non sono: li definirei più che altro saggi o articoli, tutti e tre su Napoli, scritti benissimo e coinvolgenti: “Napoli: la città della sirena”, “La più cara delle creature di Eduardo: Filumena Marturano” e “Totò e le distanze”, tutti e tre di Francesca Santucci.
Nicoletta Fanuele ci porta poi ad “Aliano”, paese della Basilicata noto per aver ospitato Carlo Levi durante il confino, e anche in “Sogni al profumo di sole, mare e fichi secchi” resta in Basilicata, narrandoci di una coppia che decide di lasciare l’agiata vita al Nord per tornare alla terra d’origine.
Chiude l’antologia “Domenica di elezioni” di Alessandro Farris, che ci conduce a fare una passeggiata per la sua Cagliari.
Metropolis: un vero gioiellino limited edition!



mercoledì 24 maggio 2017

  Recensione: Nessun Dove di Neil Gaiman 



Genere: Urban fantasy; weird
Pagine: 329
Editore: Fanucci
Prezzo di copertina: € 9,90


Richard è un giovane uomo d'affari che per un atto di generosità si trova catapultato lontano da una vita tranquilla e gettato in un universo al tempo stesso stranamente familiare e incredibilmente bizzarro. Qui incontra una ragazza di nome Porta e le persone che vogliono ucciderla. Poi un angelo che vive in un salone illuminato dalle candele, e un signore che abita sui tetti. Dovrà attraversare un ponte nella notte sulla via di Knightsbridge, dove vive il Popolo delle Fogne; c'è la Bestia nel labirinto, e si scoprono pericoli e piaceri che superano la fantasia più sfrenata.

Dopo aver letto questo romanzo ho finalmente capito cosa fosse il genere “Weird”, dubbio che mi assillava da quando tentai di scrivere un racconto del genere, toppando clamorosamente! :-D
Neil Gaiman con questo romanzo ci accompagna in un mondo fantastico, pieno di creature immaginifiche e bizzarre, come dice la sinossi. Il protagonista è un impiegato sfigato che finisce, per aiutare la giovane Porta, a Londra Sotto, finendo con l’essere dimenticato e ignorato da tutti quelli che vivono a Londra Sopra, il nostro mondo. Qui viene coinvolto nelle peripezie della co-protagonista, che lo trascina in luoghi incredibili coinvolgendolo in pericolose avventure: proprio qui incontrerà i personaggi di cui sopra, tra cui emergono  Mister Croup e Miser Vandemar, i perfidi sicari del misterioso mandante; e poi Anestesia, il Marchese de Carabas, Hunter e tanti altri.
Dopo l’esplosiva e affascinante prima parte del romanzo, però, succede poco di davvero notevole: il gruppetto non fa che andare di qui e  di là a cercare cose e persone, con Richard che viene trascinato, mai davvero protagonista e sempre sfigato. Solo nella terza parte farà qualcosa di davvero utile e fico, ma il finale l’ho trovato prevedibile. L’epilogo però può sconcertare.
La trama quindi non è particolarmente intricata, il fulcro del romanzo si basa tutto sulla meraviglia che suscitano luoghi e personaggi: lode a Neil che da una sola idea è riuscito a  tirare su un intero romanzo di successo, senza scervellarsi a imbastire intrecci complessi e colpi di scena notevoli!
Lo stile è ricco, scorrevole, ma abbondano gli avverbi di modo; i personaggi principali, Richard e Porta, risultano piatti, sempre uguali dall’inizio alla fine.
Quel che c’è di interessante, a parte l’idea fantasiosissima ma neppure troppo originale in senso lato (il mondo parallelo al nostro è un tema ampiamente sfruttato), è il concetto di persona sfigata, talmente insignificante da essere dimenticata presto da tutti (seppur per colpa del passaggio in un’altra dimensione), fidanzata, colleghi, amici,  come se non ci fosse mai stata; e questo porterà Richard, nell’epilogo, a prendere una decisione spiazzante, ma per certi versi inevitabile.

Domanda con SPOILERINO!

E’ dunque preferibile vivere in un mondo dei sogni, anziché nella banalità del mondo reale?...

Fine spoilerino!



Mi è piaciuto? Sì e no.
Consiglio questo romanzo soprattutto agli scrittori (o aspiranti tali): un esempio di come scrivere un romanzo con poche idee e molta capacità di affabulazione; lo consiglio anche a tutti coloro che desiderino perdersi in un mondo fantastico, senza scervellarsi, in tutto relax.








venerdì 19 maggio 2017

Recensione: Alien Covenant



Dopo ben 5 anni, arriva sugli schermi il sequel del prequel di Alien, ambientato 10 anni dopo Prometheus, e, diciamolo subito, si poteva fare di meglio. Molto. Hanno fatto fuori lo sceneggiatore del prequel, David- Lost- Lindelof, sostituendolo con un altro che ci ha propinato dialoghi banali, situazioni insensate, e soprattutto l’equipaggio più sfigato e incapace della storia del cinema di fantascienza. Beh, su questo non è stato certo aiutato dal casting: si salva solo Fassbender, nel doppio ruolo degli androidi David e Walter molto superiore a tutti, e anche Katherine Waterson, che interpreta la Daniels, brunetta acqua e sapone che ricorda non solo Sigurney, ma anche Astrosamantha.

 La regia di Ridley Scott però c’è, e si nota in alcune delle scene migliori del film: la prima inquadratura, un primissimo piano dell’occhio di David, che richiama l’occhio divino, e la scena in cui si dispiegano le vele energetiche dell’astronave che porta duemila coloni crio-addormentati oltre a un po’ di embrioni, all’equipaggio e a Walter, verso la terraformazione di un lontano pianeta: mi hanno ricordato le vele delle navi omeriche, con gli eroi che esplorano il mondo seppur lo scopo finale sia il nostos, il ritorno (che qui si concretizzerebbe in un nuovo inizio per i coloni, in un nuovo pianeta, in una sorta di ritorno alle origini). 
Non sono le uniche scene degne di nota: la regia si fa sentire anche in quelle tostissime dove lo xenomorfo sbuca fuori dal corpo ospite, con salti sulla sedia assicurati. Non c’è però quel “vedo e non vedo”, quel “nascondere” l’alieno che aveva caratterizzato lo storico film, il primo: in questo c’è splatter, c’è azione, ci sono combattimenti a dire il vero un po’ assurdi o banali, si zompa ma non si soffoca dall’ansia.

A causa di un guasto, l’equipaggio della Covenant si ritrova su un pianeta abitabile diverso da quello verso cui erano diretti, e qui iniziano a compiere una serie di cavolate memorabili che non sto a raccontare. C’è una novità: l’alienino stavolta può inserire nel corpo ospite sotto forma di spore, e non solo: di alieni ce n’è più di un tipo. Sugli effetti speciali non si può dire nulla, sono perfetti; credo di aver capito il motivo per cui poi tutti questi tipi di xenomorfi non si vedano in Alien, ma è nel finale e quindi non spoilero!
Il pianeta in cui sono capitati, guarda un po’, è lo stesso in cui finì l’equipaggio dell’astronave del film precedente, che come sappiamo sono tutti morti. Non c’è però accenno alla questione degli Ingegneri, e gli interrogativi lasciati da Prometheus sono rimasti insoluti: cosa si riproponevano di fare costoro?

Le parti migliori in assoluto del film sono quelle incentrate sul rapporto tra i due androidi: uno, David, che si ritiene superiore agli uomini che lo hanno creato, e gioca a fare Dio; e l’altro, Walter, un modello successivo, più distaccato e privo di empatia. Chi ci ricorda tutto ciò? Ma i Cyloni di Battlestar Galactica, ovviamente! Da qui si dipana il discorso della creazione, dei limiti umani e non, e del libero arbitrio.



Il colpo di scena finale c’è,  non si può negare; ma a ben pensarci, era ovvio anche questo…
Speriamo che il terzo film della saga spieghi tutto ciò che è stato lasciato in sospeso dal prequel, e speriamo che non passino altri 5 anni prima di vederlo.


Le immagini sono copyright degli aventi diritto e sono inserite a scopo puramente illustrativo.


lunedì 15 maggio 2017



        Recensione  Cyborg 009: Call of Justice




Cyborg 009 ha inizio come manga nel lontano 1964. Creato da Shotaro Yshinomori, ha avuto in seguito la trasposizione in tre serie anime, delle quali in Italia è stata trasmessa nel 1982 solo la seconda. Breve trama: nove ragazzi vengono rapiti e trasformati in cyborg dall’associazione Spettro Nero, ma lo scienziato Gilmore li salva. Combatteranno contro Spettro Nero, cercando di ostacolare i suoi piani. In seguito sono usciti anche vari lungometraggi e OAV, tra cui Cyborg 009 vs Devilman, Re:Cyborg 009 nel 2012 e infine Call of justice, disponibile su Netflix in italiano, in 12 puntate.

RE: Cyborg 009 (2012)

Cyborg 009 vs. Devilman

i Cyborg anni '70



 Non avendo più rivisto la serie, né avendo recuperato i vari lungometraggi e OAV, mi sono approcciata a questa novità con un po’ di ansia da “non mi ricordo una ceppa”, invece per fortuna la prima puntata è congegnata in modo da essere un riassuntone delle puntate precedenti, specie per quanto riguarda i 9 cyborg e i loro poteri.
 Lucy Davenport, figlia di uno scienziato e giornalista, raggiunge il gruppo in Texas, e li informa di una nuova minaccia che incombe sull’umanità, quella dei Consacrati, un’antica razza di esseri  immortali dai misteriosi scopi. I nostri sono riottosi, anche perché hanno smesso di combattere; l’arrivo però di un potentissimo essere che li attacca fa loro cambiare idea. Entrano in gioco anche le forze armate delle Nazioni Unite, comandate da Takeru Igarashi e Catalina Canetti.
L’anime riprende le tematiche tipiche della serie, e dell’intera categoria dei cyborg se vogliamo, nonché degli eroi: il sentirsi umani anziché macchine, la solitudine di chi è diverso, la responsabilità gravosa di chi combatte per un bene comune superiore. Il protagonista dell’opera omnia è il Cyborg 009, Joe Shimamura; anche qui è il personaggio principale, ma trovano ampio spazio anche gli altri personaggi. Una delle cose che ho sempre apprezzato in questo anime è che i protagonisti hanno nazionalità differenti, non sono tutti giapponesi come nella stragrande maggioranza delle altre opere nipponiche. Cyborg 001, Ivan Whisky, è un infante russo che oltre a essere cyborg ha anche poteri psichici, e avrà importanza fondamentale in questa storia; 002 è Jet Link, statunitense, che vola a match 5; 003 è l’unica donna, la francese Francoise Arnaul con vista a raggi x e superudito, friendzonata con Joe da sempre: un avvenimento molto importante che la coinvolge farà scoprire a Joe stesso nuove cose sui propri poteri, ma anche ai suoi avversari.

SPOILER – SUGGERIMENTO:
 avete presente the Flash?...ecco.
FINE SPOILER


004 è Albert Heinrch, tedesco, dotato di armi un po’ ovunque nel corpo; 005 è Jeronimo, statunitense, superforte e invulnerabile; 006 è Chang Ku, cinese, spara fuoco dalla bocca; 007, ma guarda un po’, è l’inglese Britannia, con poteri mimetici; 008 è il keniota anfibio Kinuma; infine il nipponico 009, che è un velocista.
Com’è tipico di tutte le serie giapponesi, non sempre è chiaro chi è amico e chi è nemico; alcuni personaggi sono doppiogiochisti, altri cambiano casacca… e altri  sacrificano la loro vita. Ci sono diversi colpi di scena, il ritmo è alto ma non così tanto da impedire la comprensione degli avvenimenti; il combattimento finale mi ha ricordato molto I cavalieri dello Zodiaco, sia a livello di azione che a livello concettuale (combattere contro un nemico infinitamente più potente per salvare chi ci sta a cuore).
Come tutte le serie in CGI, gli sfondi e gli effetti sono eccezionali; i movimenti invece sono ancora un po’ troppo scattosi, poco fluidi, attendiamo miglioramenti. Alcuni personaggi in origine erano decisamente poco “credibili” a livello grafico, e sono stati reinterpretati in maniera più realistica, pur mantenendone intatte le caratteristiche.
Molto belle la sigla di testa “I. A.m a human”, che richiama l’Intelligenza Artificiale nel titolo, e la sigla di coda, ove scorrono insieme ai titoli fotogrammi del vecchio manga anni ’60-’70.
La serie mi ha piacevolmente colpito, la consiglio a tutti, anche a chi non ha seguito le vecchie serie. Cercherò di rimediare gli altri OAV!



venerdì 12 maggio 2017

    
Cinerecensione: King Arthur-Il potere della spada





La domanda è d’obbligo:c’era bisogno di un ennesimo film su Re Artù, dopo decine di film (tra cui Excalibur del 1981, Il primo Cavaliere del 1995, King Arthur del 2004, il "prequel" L’ultima legione del 2007), serie tv ( Le Nebbie di Avalon, miniserie del 2001 tratta dal famoserrimo romanzo della Zimmer Bradley, e Camelot del 2011 con la stupenda Eva Green), cartoni animati (La spada nella roccia Disney è un must) e anime (La spada di King Arthur del 1979, che voglio assolutamente rivedere), nonché romanzi e fumetti vari?
Sì.
Sì, perché Re Artù è un personaggio tra storia e leggenda, e tramandando le leggende ognuno aggiunge qualcosa di suo, senza timore di plagi o lesa maestà.
Il regista e anche co-sceneggiatore Guy Ritchie,ex Mr. Madonna, di suo ci mette parecchio, come gli elefanti colossali della battaglia iniziale, che fanno mooolto epic fantasy; e soprattutto ci offre una versione dell’infanzia di Arthur inedita. Che era un ragazzino sfigato, lo sapevamo; qui viene addirittura allevato in un bordello di Londinium, e a forza di prenderle dalla vita di strada, prenderle in senso sia letterale che metaforico, da grande diventa un furbo lestofante affarista. In precedenza, abbiamo visto suo zio Vortigern uccidere il fratello  Uther Pendragon e  la moglie di questo, e prendere il potere; ormai passato al lato oscuro della forza, sacrifica la moglie a delle orribili creature che vivono nel lago sotto il castello, la più grassa delle quali è uguale a Ursula della Sirenetta. Arthur riesce a fuggire, e lo ritroviamo al suddetto bordello.
Vortigern non può appropriarsi della spada Excalibur conficcata nella roccia, e obbliga tutti i giovani a tentare di estrarla. Questa parte la sapete, quindi la salto.
Arthur, aiutato dalle forze magiche buone, e da una maga senza nome che rimane molto nell’ombra, per non levare l’essere protagonista a Arthur: mi pare una saggia scelta. La magia c’è, ma gli uomini devono prevalere. Grazie alla maga e alla spada , Arthur ricorda il suo passato, e con la sua banda di farabutti combatterà contro il regno del malvagio zio.

EPIC MOMENT PERSONALE!
Mentre a un certo punto Arthur corre nei boschi, si notano numerose donne-albero, proprio come quella del mio racconto “Alberi”. Che emozione vederle al cinema!
FINE EPIC MOMENT!

Il montaggio usato offre un gran bel ritmo, con i flashback sapientemente utilizzati; la colonna sonora sottolinea efficacemente i momenti del film, la fotografia è un po’ piatta e fredda, ma va bene considerando che siamo a Camelot in Inghilterra e non nelle Hawaii. Ci sono delle parti un po’ inutili e sovrabbondanti, con un quarto d’ora di meno il film sarebbe stato più scorrevole; alcuni dialoghi sono anche divertenti, ma francamente inutili. Bellissime le scenografie e i costumi, non bene le pettinature di molti personaggi che sono troppo moderne. Circa la recitazione, Eric Bana-Uther è un po’ monoespressivo; Arthur, un Charlie Hunnam molto Thor, insomma; il miglore è senz’altro Jude Law/Vortigern. Buona prova di Aidan Gillen, Ditocorto del Trono di Spade che qui è Bill Grasso d’oca. Per favore, fategli fare una parte con un nome migliore!
Ritchie come ho detto mette molto di suo: l’uso del montaggio, la caciara un po’ trash generale, e l’inserimento di elementi moderni come l’istruttore di Kung Fu cinese George e alcuni personaggi di colore, che non c’entrano nulla con la saga arturiana ma ormai se non si mette uno o più attori neri non si è politically correct e poi non si attira quel segmento di pubblico, e così amen, ci arrendiamo. Tanto anche in C’era una volta hanno messo Lancillotto nero…e credevo che non potesse accadere di peggio, invece ho visto il trailer della Torre nera di Stephen King. Ma non divaghiamo troppo.
Il film è puro intrattenimento, forse pensato per presentare la leggenda di Artù al pubblico moderno; lo considero una borata divertente, migliorabile con un po’ di tagli (il film dure 2 h e 5, se durasse 1h e 45 sarebbe stato meglio), e quindi lo consiglio sia a chi non conosce la storia, sia ai fan della saga, tenendo conto del tipo di film.






venerdì 5 maggio 2017

RECENSIONE: I GUARDIANI DELLA GALASSIA Vol. 2





Il film comincia alla grande, coi nostri eroi alle prese con un mostro alieno, per sconfiggere il quale sono stati ingaggiati dai Sovereign, una razza aliena dorata che si crede perfetta (ma non lo è). Dato che Rocket Raccoon frega delle batterie preziosissime ai Sovereign, i Guardiani vengono inseguiti nello spazio, e alla caciara del combattimento si unisce un’altra banda galattica, i Ravages di Yondu. Nel fuggi fuggi-spara spara, Star Lord (Chris Pratt, uguale a Liam Spencer di Beautiful!) incontra il suo vero padre, Ego (Kurt Russell, non è un caso la scelta di questo attore), e insieme ripercorrono le sue origini e quelle del giovane ibrido umano-alieno Peter Quill/Star Lord. 

Chris Pratt

Liam Spencer (Scott Clifton): non sono uguali?!


Sembra un idillio, il rimarginarsi di antiche ferite, il risolversi di ogni dubbio…ma le cose non sono come sembrano.
 Viene anche introdotto il personaggio di Mantis, molto graziosa.  Gamora invece ha “recuperato” la sorella Nebula, e tra le due scorre un cattivissimo sangue; in tutto ciò, Drax fa le solite battute sconce insieme a Rocket, e il Baby Groot tenerizza ogni scena (marketing, oh, marketing!...).
 Il film è tutto incentrato sul rapporto padre-figlio, duplice rapporto in realtà, perché Yondu è anche il padre adottivo di Star Lord, quindi i padri sono due; però ognuno dei personaggi ha il suo spazio e il suo “momento di gloria”.
Il tutto è condito da numerosissime scene d’azione, battute divertentissime e combattimenti, e sottolineato dalla colonna sonora anni ’80, rappresentata dalla musicassetta “Awesome mix 2” del protagonista.

Gli anni ’80 sono il vero fulcro del film: per questo è stato scelto un attore icona di quel periodo come Kurt Russell, e non solo lui, visto che anche Sylvester Stallone è nel cast. Quegli anni non emergono solo dalla colonna sonora, dai flashback in cui la mamma e l’alieno si erano incontrati e amati, da oggetti cult come il walkman della Sony (sì,sì, ce l’ho: so che qualcuno se lo starà chiedendo… ma non funziona più): è proprio il concept del film a essere anni ’80. Un film di fantascienza (li sento quelli che dicono: “i supereroi?! Ma quelli non sono fantascienza!” Prrrrr) anni ’80: verve, azione, tempi (ottimo il montaggio), e soprattutto tanta tanta ironia, quella che molti film sci-fi hanno perso per strada negli anni successivi.
La tipica scena-cameo di Stan Lee stavolta si sdoppia addirittura, e sono scene a parte, non inserite nella trama: sbrakosissime!
La trama è davvero esile, i colpi di scena scarsi, ma lo scopo di questo film è puro intrattenimento, intrattenimento nostalgico, nient’altro. E ci riesce benissimo.
I titoli di coda sono animatissimi, e i finalini molto numerosi, quindi non alzarsi dalla poltrona fino all’ultimo fotogramma!


SPOILER!

Nell’ultimo finalino, in special modo, si cita un personaggio che probabilmente farà parte del prossimo film, Adam, ovvero Adam Warlock.

FINE SPOILER!

Aderenza ai fumetti Marvel? Quasi zero. Vero è che i GdG non sono i supereroi più celebri dell’Universo Marvel, ma il regista James Gunn (suo anche lo script) qui ha fatto quello che voleva coi personaggi.
Ne cito solo qualcuna: Ego, il pianeta vivente, non è un Celestiale, e soprattutto non è il padre di Peter Quill/Star Lord ( suo padre è il re del pianeta Spartax); Drax non è un alieno, Mantis nemmeno e il suo potere principale non è quello illustrato nella pellicola, Gamora e Nebula non sono figlie di Thanos, per non parlare dei personaggi minori. Anche la personalità dei membri della squadra è molto differente, Star Lord non è affatto caciarone e allegro, ma tutt’altro. Ci sarebbe da scrivere un articolo a parte su ogni personaggio per illustrare tutte le divergenze, ma nun me va, quindi fidatevi!
 Tutto questo restyling però non mi ha infastidito, sia perché il film è ben riuscito, sia perché non sono personaggi di spicco a cui sono particolarmente legata, quindi non ha provocato in me l’ira funesta che mi causano tutti i film degli X-Men ad esempio.

Consiglio la visione del film a tutti gli amanti della fantascienza che vogliono passare due ore e venti di puro relax e divertimento, anche a chi non segue i supereroi.