giovedì 21 novembre 2019


I LIBRI SIBILLINI PARTE V - 2



Torna l’appuntamento mensile con il post culturale in cui approfondiamo i Libri Sibillini, il testo oracolare degli Antichi romani, riassumendo lo studio di Laura Fattor (reperibile online).
Siamo arrivati al II secolo, che abbiamo diviso in due a causa dell’elevato numero di consultazioni:
la prima parte il mese scorso, la seconda oggi.


Nello stesso anno di inizio della terza guerra Punica, il 149 a.C., Livio ricorda
la celebrazione dei ludi Saeculares, in onore di Dis Pater Nel passo
di Livio, i ludi Saeculares del 149/46 a.C. non sono legati all’insorgere di
prodigia, come i precedenti, ma esplicitamente vengono celebrati per seguire
il modello già instaurato. Nell’imminenza dell’ultimo scontro con
Cartagine, viene dunque riproposto un modello rituale ‘rassicurante’, garante
del perpetuarsi dell’intera città, nel tempo scandito dai saecula-generazione.



Nel 144 a.C. il senato affida al pretore urbano Q. Marcius Rex il compito della
costruzione di un nuovo acquedotto che avrebbe dovuto raggiungere il
Campidoglio. L’anno dopo, i decemviri, consultati i libri Sibillini, a causa di
alcuni prodigia non specificati, riferiscono di aver trovato un oracolo che
impediva di fatto la costruzione della nuova opera.
Il divieto dei decemviri non fu rispettato: l’aqua
Marcia venne costruita qualche anno più tardi.


Secondo Obsequens nel 143 a.C., dai decemviri, probabilmente consultati
per espiare alcuni prodigia avvenuti ad Amiterno e a Caure, venne trovato un
oracolo Sibillino che prescriveva la celebrazione di un sacrificio sulla frontiera
col territorio gallico, prima di una invasione di quest’ultimo.
La prescrizione è da ricollegarsi alla sconfitta subita dal console Appio
Claudio Pulchro. Questi, spinto dall’odio contro il collega Quinto Metello
aveva portato guerra contro la popolazione gallica alpina dei Salassi,
nell’intenzione di ottenere una facile vittoria e poter celebrare da solo il trionfo;
finì invece col subire molte perdite. Due decemviri furono inviati a celebrare il
sacrificio dell’oracolo, e la guerra finì favorevolmente per i Romani.

Per il 142 a.C., Obsequens annota i seguenti accadimenti: fame, pestilenza, nascita di un androgino.
Per la peste viene indicato il remedium consueto della supplicazione. Non è
specificato quali riti vennero approntati per espiare l’androgino: possiamo
supporre che in essi vennero coinvolti come precedentemente i decemviri.


I libri Sibillini vennero nuovamente consultati nel 133 a.C. in seguito al
verificarsi di molti prodigi: comparsa del sole di notte, un bove parlante, una
pioggia di sangue, fuochi che non bruciano, pianti di bambino uditi nel tempio
di Giunone Regina e, fra tutti più grave, la presenza di un androgino.
Tutti questi fatti portentosi si verificarono in concomitanza ad un assassinio
politico di straordinaria rilevanza, quello di Tiberio Gracco, ucciso nello
svolgimento delle sue funzioni, mentre ancora ricopriva la carica di tribuno
della plebe.
A Tiberio viene riservato lo stesso destino degli androgini. La sua uccisione, è descritta dalle fonti come un atto dalle connotazioni rituali che ne sottolineano la
gravità sacrilega; dopo essere stato ucciso, il corpo del tribuno, negato al
fratello Caio che lo reclamava per la sepoltura, viene gettato nel Tevere.
Attraverso la privazione della sepoltura e l’abbandono alle acque, viene
segnata l’esclusione dalla città della persona e della azione politica del
tribuno, considerato come un monstrum da eliminare.
Tra le cerimonie di espiazione è indicata una lustratio, che con il coro
delle ventisette fanciulle rimanda alla cerimonia approntata per la prima volta
nel 207 a. C. e ricorrente nell’espiazione di androgini. Si può supporre che le
cerimonie fossero indirizzate a Iuno Regina, anche in connessione con le
grida di un bambino infante udite nel suo tempio. Tuttavia Iuno Regina non è la sola divinità chiamata in causa. Secondo altre
fonti, in seguito ai molti prodigi occorsi dopo la morte di Tiberio i libri Sibillini
avevano suggerito di onorare l’antichissima Cerere, ‘antiquissimam Cererem
placari oportet.’ Si tratta della Ceres (Demeter) siciliana di Enna, alla quale
venne inviata una delegazione costituita dagli stessi decemviri.
La necessità di placare Ceres va messa in relazione col fatto che con
l’uccisione di Tiberio Gracco si era colpito un tribuno della plebe, protetto
dalla sacrosanctitas (sfera comprendente tutto ciò che rientrava nella sfera
del sacrum e del sanctum), che sanciva la inviolabilità della persona dei
tribuni della plebe, in base alla lex sacrata del 449 a.C., anno della creazione
della maggiore carica plebea. Ai violatori della sacrosanctitas era imposta la
vendita dei propri beni in favore di Ceres, Liber e Libera, nonché la sacratio a
Iuppiter (eius caput Iovis sacrum esset);  Ceres, dea “titolare” della famosa
triade plebea era investita in prima persona della tutela della carica stessa
429. La scelta di onorare in particolare la Ceres/Demeter  di Enna, anziché
quella dell’Aventino, va messo in relazione con la formulazione antiquissima
Ceres attribuito da Cicerone alla dea di Enna, che si pone, dal punto di
vista romano come ‘archetipo’ della propria Ceres, nonché come dea centromediterranea. Come riporta Cicerone, secondo una vetus
opinio tutta l’isola era Cereri et Liberae consecratam, e qui per la prima volta
la dea aveva diffuso i suoi insegnamenti. Inoltre la preferenza accordata alla Ceres
Siciliana va anche messa in connessione con la contemporanea rivolta
servile che era scoppiata nell’isola e che aveva avuto inizio proprio da Enna.
La sollevazione, che Roma riuscirà a sedare l’anno successivo, nel 132 a.C.,
era capeggiata dallo schiavo siriano Euno che si era fatto proclamare re con
il nome di Antioco. Appare dunque chiara la necessità romana di onorare
quella antiquissima Ceres, garante della democrazia, anche in rapporto alle
pretese di regalità emergenti nell’isola. 


Nell’opera  che Flegonte da Tralles, liberto di età adrianea ci ha
tramandato, due oracoli Sibillini che fanno riferimento
ad un unico evento prodigiale, avvenuto nel 125 a.C.
I due oracoli prescrivono rituali diversi; il primo infatti indica come divinità da
onorare Demetra e Persefone e forse Zeus ed Hera. Vi è indicata una
specifica partecipazione femminile, sia di anziane che di fanciulle.
Il secondo oracolo e rivolto a Demetra, Persefone, Plutone, Febo ed Era.
I carmi sono stati identificati come di origine cumana; ne darebbe prova
l’insistenza, nel secondo carme, sulla provenienza euboica di Hera e i dati
precisi circa Cuma e i suoi rapporti con Pythecusa.
Nel pantheon cumano Apollo, Era, Demetra e Persefone avevano un ruolo
importante. L’oracolo potrebbe così costituire una prova atta a confermare
quelle fonti antiche che attribuivano i libri Fatales alla Sibilla Cumana.

Di questo c'è riferimento nel mio libro "Oracoli", in cui c'è un racconto dedicato proprio alla Sibilla cumana.

Tuttavia, se si parte col considerare i ‘libri’ romani come una raccolta di
profezie composite di diversa provenienza, gli oracoli flegontei dimostrano
soltanto che in essi poté confluire anche materiale sibillino cumano assieme
ad altro di diversa provenienza.


Anche per il 122 a.C. ci troviamo di fronte al monstrum costituito dalla
presenza di un androgino: Il segno si inserisce in un anno che vede culminare
un altro momento tragico della battaglia riformistica dei fratelli Gracchi.
Dopo dieci anni Caio Gracco, , rieletto tribuno della plebe
aveva proposto una riforma che consentisse di estendere la cittadinanza
romana a tutti i popoli italici alleati e per fronteggiare il problema
dell’esurimento delle terre da distribuire, ma la proposta riguardante la concessione della cittadinanza non venne accolta con favore dalla plebe urbana.
e a Roma vi furono scontri che terminarono con la morte di Caio Gracco e di
numerosissimi popolari. La testa di Caio venne gettata nel Tevere.
L’anno così connotato, non poteva mancare di una serie di prodigia in cui compare anche un androgino, segno per eccellenza della confusione, del caos, a livello
cosmico quanto politico.



Nel 118 a.C,, dopo un altro androgino l'anno precedente, troviamo 
un fegato incompleto, una pioggia di latte ed altri fenomeni.
Mentre veniva fatto un sacrificio dal console Catone, le interiora delle vittime si corruppero subito ; non venne trovata la parte superiore del fegato; piovve del latte ; la terra tremo e si udirono dei muggiti; uno sciame di api si pose nel foro. In base ai libri Sibillini venne fatto un sacrificio.
E’ la prima volta che viene compreso fra i prodigia da espiare la particolare
formazione del fegato di una vittima sacrificale; ciò è dovuto forse
all’importanza sempre più grande data agli aruspici. Per questo e per altri
prodigia vennero comunque consultati i decemviri.


Per il 117 a.C. sono ricordati prodigia sia nel territorio di Roma che in altri
municipi, Preneste e Priverno; a Saturnia in particolare venne trovato un
androgino; è nuovamente predisposta la cerimonia comprendente il coro di
ventisette vergini, non sono però specificate le divinità che vennero così
onorate.


Nel 114 aC. abbiamo un prodigium  particolare, per i cui dettagli rimando alla lettura completa del testo di riferimento (la tesi di laure di Sara Fattor), in sintesi  Elvia, al figlia di un cavaliere romano, viene uccisa da un fulmine , e tre vestali vengono scoperte a commettere il sacrilegio insieme ad altri tre cavalieri romani.
L’incestum delle vestali e il prodigium riguardante Elvia, che si presenta come
stuprum celeste di un corpo virginale, richiamano
l’attenzione sul significato dell’obbligo alla castitas, valore fondante il senso
stesso della salvezza dell’Urbs. Nella città, l’integrità femminile garantisce
l’integrità del ‘centro simbolico’, il tempio/casa di Vesta e del suo fuoco che
non può essere mai spento. La verginità femminile, che si rispecchia
nell’integrità della dea e delle sue sacerdotesse diviene simbolo della
imprendibilità della città stessa.
Secondo Plutarco, per stornare entrambi gli eventi, i libri prescrissero il
seppellimento di due coppie formate da greci e galli. Il passo plutarcheo ci
permette così di mettere chiaramente in relazione questo rito con l’incesto
delle vestali per gli anni 228 a.C. e 216 a.C. Gli episodi del 228, 216 e 114
a.C. vengono a configurarsi come tre momenti fondamentali per
costruzione di una virtus femminile.
Venne anche eretto un tempio a Venere Verticordia. Venus
doveva cioè ‘cambiare i cuori’ volgendoli alla castità intesa, come abbiamo
visto, come virtù femminile civica.

L’episodio del 216 aC viene citato nel mio racconto “I libri fatali”, contenuto in “Oracoli”, mentre la sepoltura dei greci e dei galli appariva in una prima stesura del racconto, poi tagliata.


L’ultima consultazione del II sec a.C. è registrata per
il 108 a.C.
A Roma fu visto un uccello infuocato ed un allocco. Nelle Latomie un uomo venne divorato da un altro uomo; fu dato ordine, dai Sibillini,che trenta fanciulli e altrettante vergini, di condizione libera, patrimi e matrimi, facessero sacrifici sull’isola Cimolia.

Particolare interesse suscita il fatto avvenuto nelle Latomie. Le
Latomie erano cave a cielo aperto; le più famose erano quelle di Siracusa che
servivano da prigione. L’isola di Cimolo si trova nelle Cicladi ; gli studiosi
sottolineando la stranezza di una spedizione in un luogo così lontano, ritengono
che la notizia sia frutto di un malinteso.

Il mese prossimo avremo l'ultimo articolo sui Libri Sibillini.
Vi aspetto!




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