mercoledì 1 aprile 2020


RACCONTO

IL QUADRO di PAOLA LEONCINI



I racconti gratis di IUF
Decameron edition #2

Cari lettori, i racconti gratuiti su IUF proseguono con Paola Leoncini, che ci offre "Il quadro". Enjoy!

La festa era cominciata.
L'ampio salone della villa dalle pareti chiare, istoriato agli angoli, era piuttosto gremito di gente.
Il party non aveva registrato il pieno ma lo spazio per ballare, fra i tavoli disposti a ferro di cavallo attorno alla pista, non era poi enorme. Comunque, senza lanciarsi in troppe giravolte acrobatiche, si poteva azzardare anche un rock 'n roll. Forse, l'unico impedimento sarebbero stati proprio i costumi indossati dai partecipanti alla festa.

C'era di tutto: vampiri, scheletri, licantropi, zombies, vari personaggi tivù, e gli immancabili fantasmi, tutto sommato, la maschera più semplice da realizzarsi, costituita da un lenzuolo bianco in mezzo al quale si praticano due buchi per poter vedere gli stipiti delle porte, e le porte per non sbatterci contro, chi ti gira intorno e quali piedi rischi di pestare mentre balli.
Tutto si stava svolgendo secondo il copione previsto per la fatidica sera di Halloween, il 31 di ottobre di ogni anno a partire da dieci anni addietro; inoltre, per completare il quadro, la cornice era perfetta: una bella, grande villa rinascimentale, alle porte di Roma, proprietà della famiglia de Magistris, il cui blasone nobiliare sembrava risalire giusto ai tempi di Giulio II^ della Rovere, il papa guerriero. Ma era solo una coincidenza. O no?

La festa era chiusa e la partecipazione era permessa solo su invito, tuttavia, i presenti non erano obbligati ad essere nobili; l'importante è che fossero ricchi. E lo erano.
Molti di essi s'incontravano solo in quell'occasione, essendo tutto il resto dell'anno in giro per il mondo per lavoro o per diporto, in ogni caso impegnati in varie attività lavorative o meno.
Ernesto, cinquant'anni ben portati, architetto, sotto il costume da lupo mannaro faticò a riconoscere Antonietta, trentotto anni, truccata all'inverosimile da Strega di Biancaneve invecchiata, ma quando accadde, i due si abbracciarono calorosamente dopo un anno di lontananza.
E' sempre bello rivedere gli amici a distanza di mesi.

Un inserviente in livrea entrò nella sala e, scampanellando, annunciò la cena imminente.
Paolo, ingegnere, quarantacinque anni, di statura non elevata e mingherlino, annunciò a sua volta che, prima di sedersi a tavola ed abbuffarsi, doveva andare in bagno ad .... alleggerirsi.
"Tu capisci che il mio pasto sarà ... abbondante" disse, rivolgendosi a Sandra, alta, magra, eterea e cadaverica, stretta nell'abito nero fasciante di Morticia Addams.
"Certo. - convenne, parlando con la calma distaccata e sofisticata del personaggio, guardando divertita Paolo, realmente spaventoso nel suo azzeccato look rivoltante di zombie - Capisco. Ti accompagno".

Sandra era la sorella della proprietaria, conosceva la casa come le sue tasche e lo accompagnò.
A metà del corridoio, Paolo si bloccò, colpito da un quadro, incastrato fra una lunga e stretta libreria di noce scuro ed un massiccio pendolo, raffigurante un paesaggio desolato e scuro in fondo, rischiarato da roghi fra le cui fiamme, poveretti condannati a morte si contorcevano, coi volti sfigurati dalla sofferenza e del terrore. Attorno alle pire, la luce ambrata delle fiamme sfiorava di striscio volti e profili degli astanti, radunati attorno ai patiboli, alcuni, in apparenza quasi eccitati a vedere quei corpi orrendamente consumati dal fuoco.
Paolo rabbrividì anche a voce.
Quel dipinto era inquietante perché pareva emanare vita propria.
Sperò di sbagliarsi ma ebbe l'impressione che uno di quei volti si fosse girato e lo stesse guardando con occhi pieni di crudele trionfo.
Lo stimolo di andare in bagno aumentò e Paolo corse verso la sua destinazione, seguito da Sandra che ridacchiava, divertita.
Paolo non lo era per niente.
Uscito dal bagno, avrebbe volentieri cambiato strada ma il percorso per tornare in sala da pranzo era quello e non c'era altra scelta.
"Conosci, per caso, la storia di quel quadro?" chiese l'uomo a Sandra.
Sandra alzò le spalle con nonchalance, più per restare nei panni del controllato personaggio.
"Una condanna a morte collettiva, credo. - rispose - L'Inquisizione non era usata solo per la caccia alle streghe".
Paolo annuì.
"Anche per levarsi di torno chi la pensava diversamente dal Papa" ipotizzò.
"Anche" confermò Sandra, sempre scherzosamente altezzosa.

In quel momento, nel corridoio comparve pure Alberta, la sorella di Sandra, ovvero la proprietaria della villa la quale, eccitata per l'annuncio della cena, invitò i due a sbrigarsi. Poi gettò una fuggevole occhiata al quadro e Paolo scorse nei suoi occhi quasi neri un'espressione di paura.
"Si può togliere quel quadro, Sandra?".
"Si. - rispose la donna, sempre olimpica - Ma non stasera. S'intona con la festa".
Paolo vide le due donne scambiarsi occhiate particolari. Alberta era tesa, Sandra, pacifica.
Una Morticia perfetta, amante del lugubre.

Prima di allontanarsi, Paolo dette un'ultima occhiata al dipinto. E scoprì che sarebbe stato meglio non farlo. In caratteri antichi, in basso a destra, vide scritta una data: 31 ottobre 1515.
Il brivido che percorse la sua schiena assomigliò vagamente ad una scarica elettrica.
Insieme, tutti e tre tornarono nella sala da pranzo dove, dopo poco cominciarono ad entrare i camerieri con i vassoi e le pietanze.

Dimenticandosi subito del quadro e calandosi appieno nel suo personaggio, vedendo su un vassoio d'argento campeggiare un enorme tacchino ben cotto, Paolo finse di lanciarsi su di esso, intenzionato a divorarlo a morsi. Poi, sempre scherzando, si girò e cominciò la farsa dei morsi agli invitati, agendo da vero zombie affamato di carne umana.
Strillando e ridendo, i partecipanti scansavano Paolo, correndo in qua e in là per la sala finché Alberta non impose, con cortesia e fermezza, di prendere i propri posti ai tavoli.
E si dette il via all'abbuffata.

Dopo cena, iniziò il sabba delle danze.
E fu buffo vedere Egisto, quarant'anni, avvocato, alto, diafano e compassato Dracula, dimenarsi in un indiavolato twist alla John Travolta di Pulp Fiction, di fronte ad Evelina, frizzante sua coetanea, professoressa di matematica alle medie, fasciata in una tuta nera con sopra dipinto uno scheletro.
Malgrado il frastuono della musica diffusa a palla nel locale, i ballerini riuscirono a scambiarsi qualche parola.
"Avete visto il quadro nel corridoio?" esordì Paolo a cui era tornato d'improvviso in mente la tela, mentre si scatenava in una street dance davanti ad Antonietta e altri invitati.
"Quale quadro?" chiese Antonietta.
"Quello dei roghi" rispose Paolo, risoluto.
"Ah si! - fece Sergio, dentro la pesante tuta pelosa di Chewbecca - Quello".
"Nessuno sa qualcosa di quel quadro?" ritornò Paolo.
"Lo stile sembra quello di Caravaggio. - s'intromise Egisto - Ma chiaramente non è lui. Potrebbe essere di qualche suo allievo, o emulo, non certo molto abile nemmeno a riprodurne il tocco alla lontana".
"Beh, questo è sicuro. - commentò Paolo - Però mi ha messo i brividi. Nonostante ci siano i roghi. -
I suoi interlocutori risero - Soprattutto la data" terminò Paolo, di colpo diventato serio.
"Perché? - fece Antonietta - che data è?"
Paolo la rivelò.
"Oh, cavolo!" esclamò Egisto.
"Stasera, cinquecento anni fa" osservò Antonietta.
"L'avranno fatto apposta?" si chiese Paolo.
"Non lo so. - rispose Egisto - Se è stata un'idea di Sandra, non mi meraviglierei. E' una burlona, ma Alberta no. Lei è seria. Non farebbe una cosa del genere".
"Ma loro sanno di quel quadro?" domandò Antonietta.
"Non ne ho idea. - rispose Egisto - Credo che quel quadro faccia parte del loro patrimonio ma è uno di quegli oggetti che si sa di possedere, al quale, però, non si dà mai grande importanza. E' una specie di istituzione domestica che si accetta per convenzione".

Per coincidenza, in quel momento, al gruppetto si unì Sandra che raccolse le ultime battute.
"Il dipinto risale effettivamente al Cinquecento, - si adoperò subito ad informare la donna - ma l'autore è un emerito sconosciuto. Forse, solo un pittore di strada".
"Che quella sera del trentuno ottobre millecinquecentoquindici si era trovato, guarda caso, proprio ad assistere all'esecuzione di poveracci, destinati a finire cotti alla brace chissà per quali colpe".
Anche agli altri conversatori vennero i brividi.
Naturalmente, fra le varie maschere c'erano anche i fantasmi.
Nessuno però fece caso che sotto a qualche lenzuolo non c'era un corpo solido.
Nella sala la temperatura si abbassò, ma il calore provocato dall'intensità del ritmo nei balli, non permise ai danzanti di avvedersene.

Verso mezzanotte toccò ad Aroldo, medico, cinquantacinque anni nascosti dietro alla maschera di cuoio di Hannibal Lecter, ad aver bisogno della toilette, ma lui non ebbe necessità di essere accompagnato, essendo il medico della famiglia de Magistris, dunque, profondo conoscitore di quella casa.
Anche Aroldo percorse il corridoio che in quel momento era avvolto in una insolita penombra.
Passò davanti al quadro ma, a differenza di Paolo e degli altri invitati, gli lanciò un'occhiata priva d'interesse e andò oltre.
Tuttavia, con la coda dell'occhio, dietro di lui captò qualcosa e le sue narici percepirono un leggero olezzo di bruciato. Si girò di scatto ma alle sue spalle tutto era tranquillo. Si recò in bagno avvertendo una singolare, sinistra inquietudine.

Al ritorno, si fermò davanti al dipinto e notò un dettaglio che non aveva mai scorto prima e che lo fece sussultare. Osservando meglio le figure riunite intorno alle pire, scoprì che alcune di esse assomigliavano a qualche presente alla festa. Anche lui vide poi la data.
"Mio Dio!" esclamò a bassa voce.
Si voltò verso il fondo del corridoio dove c'era la porta che introduceva nella sala.
Dove avrebbe dovuto esserci la porta che introduceva alla sala.
Che invece era scomparsa dietro uno spesso velo grigio semovente, fluttuante, dentro il quale nuotavano ovali neri, minacciosi, terrificanti, che parevano trafiggerlo con sguardi in cui terrore e odio confluivano tangibilmente.

 Fece per correre verso la porta ad avvertire gli ospiti ma dal quadro fuoriuscì una fiammata che lo avvolse, trasformandolo in una torcia umana.
Le sue urla furono sentite attraverso le pareti.
Gradualmente, ma con una certa velocità, la casa precipitò nelle tenebre ed i fantasmi reali si distinsero nel buio, chiari, luminosi, sinistri, mortali, circondando gli invitati e bloccandoli nella sala le cui uscite si chiusero automaticamente senza intervento umano.
Poi, i fantasmi presero fuoco, volgendo in torce che urlarono, oscillando,  sfiorando con lingue rosse e tizzoni qualunque cosa fosse infiammabile, invadendo in breve tempo tutto l'ambiente.



31 ottobre 1515

Il piccolo Giuseppe, di dieci mesi, era morto fra le braccia di sua madre, Beatrice, disperata.
Ufficialmente, la morte era stata provocata da polmonite. Facile morire di polmonite a quei tempi.
Riscaldamento ed igiene difettavano pesantemente nelle misere abitazioni del popolo di Roma, ma di qualsiasi altra città.

In quel caso però, il piccolo Giuseppe non era nato in un tugurio bensì nella grande stanza da letto, riccamente decorata, di Palazzo de Magistris, una bella costruzione situata nella zona corrispondente all'attuale Piazza Bologna, quasi al centro della Capitale. E Beatrice, la mamma del piccino, quando lui si ammalò, aveva convocato i migliori medici nella speranza che lo guarissero. Non c'erano riusciti, in compenso, alcuni membri della servitù erano intervenuti con erbe officinali. Nemmeno quelle avevano sortito risultati e la famiglia era giunta all'errata conclusione che quelle erbe fossero velenose, coltivate da persone praticanti la stregoneria, le quali furono immediatamente arrestate, schiacciate da quell'infamante accusa, con le conseguenze ben note a tutti. Finite nelle infernali maglie del Tribunale dell'Inquisizione, dopo estenuanti supplizi, uomini e donne furono legati ai ceppi, sulle pire allestite al centro della piazza più vicine e lasciati ardere vivi davanti ai componenti della famiglia che assistettero allo spettacolo con sadica soddisfazione, inneggiando ad una morte dei condannati, lenta e atroce.

Un anonimo imbratta-tele aveva riprodotto la scena e più in là negli anni, un esponente della nobile famiglia aveva acquistato la tela nella bottega di un rigattiere, per pochi soldi. Il quadro poi, era stato sconfinato in fondo ad una cantina fino a che non era stato ritrovato, quasi mezzo millennio dopo, dalle due sorelle de Magistris, solo che Alberta non era mai stata molto entusiasta di esporlo fra le mura di casa, mentre Sandra, più scanzonata e scettica nei confronti del sovrannaturale, non aveva trovato nulla di strano e disdicevole nell'includerlo fra i dipinti che riempivano le pareti della villa.

Chi avrebbe mai detto che cinquecento anni dopo, le vittime di quell'orribile episodio avrebbero consumato la loro vendetta all'insaputa di molti componenti del casato, forse ignari del suo passato poco glorioso?
Forse.

 Paola Leoncini   

Paola Leoncini è nata a Roma un po' di tempo fa, e si è rivelata un soggetto difficile sin dai primi vagiti!
Vive a Nettuno (Roma), ama la fotografia, il mare, la bicicletta e la natura, interessi che l'hanno portata a impegnarsi in prima linea per l'ambiente tramite diverse associazioni territoriali e nazionali.
Insegnante di Lingue, è anche traduttrice, editor e autrice di racconti.



Prossimo appuntamento: il 3 aprile. Vi aspettiamo!

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