giovedì 9 aprile 2020


RACCONTO

L'ARKA TOWER di ALESSANDRO DEL GAUDIO




I RACCONTI FREE DI IUF-
DECAMERON EDITION #4


Cari lettori, proseguiamo a farvi compagnia con i racconti offerti da alcuni scrittori. L'Arka Tower di Alessandro Del Gaudio è un inedito urban fantasy per bambini e ragazzi e fa parte della raccolta "Occhi color meraviglia". 

L’Arka Tower


 Per Doraura quella città era sempre stata magica e lei era convinta di non sbagliarsi. Abitava in un grattacielo costruito nessuno sapeva dire con precisione quando, alto più di cento metri, un edificio di 35 piani che svettava verso l’alto, culminando sulla punta con la statua di una donna bellissima, che i bambini avevano ribattezzato Dea Natura. La ragione era semplice: quel palazzo si chiamava Arka Tower e ad ogni piano presentava, ripetuto ai quattro angoli, un animale di pietra. Al primo piano, ad esempio, c’erano gli ippocampi, al secondo i coccodrilli, al terzo i babbuini e così via, fino al trentacinquesimo, con i suoi quattro orsi. Doraura abitava al ventesimo piano e, guardando oltre il vetro di straforo, poteva scorgere un bellissimo pellicano grande all’incirca quanto lei. A lei sembrava bellissimo, anche se doveva ammettere che aveva un aspetto alquanto buffo. Sotto il suo grande becco sembrava sorridere, fissando dall’altezza di sessanta metri i quartieri meridionali della città. Forse c’era qualcosa che lo divertiva, qualcosa che vedeva solo lui, che ai comuni mortali non era dato sapere. Essendo a più di metà strada tra il primo piano e l’ultimo, tra gli ippocampi e gli orsi, doveva essere un animale molto nobile – pensava, perché più un animale si avvicinava alla Dea Natura e più era importante. I quattro orsi del piano 35, per intenderci, dovevano essere i servitori personali della Dea, anche se Doraura non riusciva a comprendere cosa ci trovasse una donna così regale in quattro animali che mancavano così palesemente di grazia. Ma se lei aveva scelto gli orsi per servirla, una ragione doveva pur esserci.
 Doraura amava stare là, era una ragazza piena di fantasia e spesso vagava con l’immaginazione oltre la finestra, pensava a quante cose stavano succedendo nella sua grande città nell’istante in cui lei guardava, quante avventure si consumavano nelle sue strade e tra la gente. Sicuramente in quel posto dovevano abitare maghi e fate, cavalieri e amazzoni, creature straordinarie e semidivinità, tutti camuffati da comuni esseri umani per non farsi riconoscere. Era troppo piccola per passare molto tempo fuori; avesse potuto girare un po’ più liberamente, era certa che sarebbe riuscita a scoprire il segreto di ogni abitante della città, a violare la sua natura nascosta sotto le sembianze umane.
 Ogni tanto la madre la sorprendeva in camera a parlare con il pellicano, e sembrava preoccupata da quel suo comportamento. A volte la sgridava quando la vedeva, perché così si distraeva dal fare i compiti, ma Doraura pensava che  alla madre non piacesse quell’animale di pietra, che avrebbe preferito vederla parlare con un cerbiatto, o con un pavone, un cigno, un delfino. Un pellicano doveva essere troppo stupido per parlare con la figlia di una donna importante quale era sua madre.
 Allora Doraura aveva smesso di parlargli, quando sapeva che sua madre era in casa; aspettava di farlo nei momenti – frequenti – in cui lei era fuori per lavoro e la lasciava alle cure della governante.
 “Sai che oggi ho preso otto nel compito di aritmetica, Pel?”
 Pel era il nome che Doraura aveva dato all’uccello di pietra.
 “Sorridi perché sei contento del mio voto o perché hai visto qualcos’altro di divertente, dal tuo osservatorio?”
 Poi restava a pensarci sopra: visto che tutte le volte che gli poneva una domanda il pellicano non le rispondeva mai, presto o tardi rinunciava a continuare a parlargli e tornava a occuparsi di quello che stava facendo. Ma non gli faceva mai mancare la sua stima, perché doveva essere un animale molto coraggioso per non abbandonare mai la sua postazione, e molto forte per non stancarsi mai di mantenere la solita posizione. Immaginava come doveva sentirsi Pel quando nevicava e il cornicione diventava scivoloso, eppure lui non cadeva mai; e cosa avrebbe fatto lei se un temporale estivo l’avesse sorpresa e infradiciata d’acqua? Certo, avesse avuto le ali di Pel, sarebbe volata a cercare riparo per proteggersi dalla pioggia e dai fulmini. Invece lui resisteva come un vero guerriero, senza mai perdere il sorriso.
 “Un giorno salverai il mondo, Pel, e vedrai che la buona Dea Natura ti promuoverà al rango di suo servitore personale. Certo sarò un po’ triste quel giorno, perché finirai al trentacinquesimo piano e non potrò più godere della tua compagnia, però sarò anche felice perché potrò raccontare a tutti di aver conosciuto di persona il servitore più coraggioso della Dea Natura, potrò dire che eravamo grandi amici. E allora anche mia madre smetterà di trovarti ridicolo, anzi penserà che sei il più bello degli animali che vivono in questo palazzo”.

Poi un giorno pieno di sole, un giorno in cui niente lasciava presagire potesse succedere qualcosa di brutto, la terra cominciò a tremare. Dapprima si udì un fragore, poi seguì la prima scossa. Doraura era a casa, nella sua camera, e stava disegnando un bel prato fiorito con tanti bambini che giocavano a rincorrersi. Inizialmente pensò stesse per mettersi a piovere, ma il cielo era sgombro da nuvole e quello non poteva essere stato un tuono dovuto a un temporale. Stupita si alzò dalla sedia e in un attimo si ritrovò a terra. Vide la stanza come vorticarle attorno, i mobili sbattere contro le pareti come se avessero preso vita, il lampadario oscillare spaventosamente e comprese, sgomenta, che c’era il terremoto.
 L’Arka sussultava tutta, da quell’altezza era impossibile non avvertire in modo ancora più evidente il sisma, i vetri delle finestre che si crepavano, i quadri e le fotografie che cadevano a terra in un presagio apocalittico, il pavimento che sembrava scosso dai pugni di un titano.
 Doraura non riusciva a muoversi, sapeva che doveva mettersi in salvo, ma il terrore l’aveva completamente paralizzata e in cuor suo sperava solo che tutto finisse presto, senza chiedersi come. Si raggomitolò su se stessa e cominciò a urlare, poi a recitare tutte le preghiere che aveva imparato fino a quel giorno.
 Il vetro continuò a incrinarsi, una linea biforcuta attraversò interamente la sua superficie, poi seguì un’esplosione di frammenti cristallini.
 “Pel…”
 Doraura sentì una fitta alla testa e il buio la ingoiò.

 Pensò che avrebbe vagato nelle tenebre per sempre, invece la bambina si sentì scuotere e con la stessa fatica con cui un culturista solleva un peso di più di cento chili, i suoi occhi si aprirono. L’accolse una luce sfuocata, poi un’immagine cominciò a prendere forma nel suo spazio visivo e apparve il volto caro della madre in lacrime.
 “È salva”, disse a fatica, la voce rotta dall’emozione.
 La donna abbracciò sua figlia e la strinse forte per alcuni, intensi secondi.
 “Cosa è successo?”, domandò la bambina.
 “C’è stato un bruttissimo terremoto, piccola mia. Ha colpito la città e la regione circostante”.
 “E la nostra casa?”
 “Ha resistito, bambina mia. La torre non è caduta”.
 Merito della Dea Natura, pensò Doraura.
 Le sue mani grassocce toccarono la fresca superficie di un lenzuolo bianco, così Doraura comprese di essere sdraiata in un letto. Attorno non c’era solo la mamma ma molta gente, persone con il camice bianco e alcune facce che riconobbe, tra cui quella della loro governante. Si sentiva molto stanca, ma era circondata dall’affetto di tutti e questo le regalò un riposo più tranquillo.

 L’Arka Tower era rimasta in piedi, ma non senza aver subito danni evidenti. Alcune statue erano cadute, persino quella della Dea Natura posta sulla cima restava appesa solo per un angolo del basamento, e i vigili del fuoco stavano intervenendo per rimetterla in piedi. Anche Pel non era più al suo posto, ma Doraura era certa che stesse bene e che sarebbe tornato a farle compagnia. L’aveva visto entrare dalla finestra subito dopo che il vetro era esploso, non un uccello di pietra ma un bellissimo pellicano in carne e ossa, che l’aveva soccorsa e salvata. La mamma si ostinava a dire che era stata la loro governante a trarla in salvo, dopo essere riuscita ad uscire dalla stanza in cui era rimasta inizialmente bloccata, ma Doraura era certa che le cose non si erano svolte in quel modo.
 L’appartamento in cui vivevano era ridotto piuttosto male, c’erano calcinacci dappertutto e molti mobili si erano capovolti, ricoprendo il pavimento di frammenti di legno. Il loro contenuto era sparso ovunque, ci sarebbero voluti giorni, forse settimane solo per rimettere tutto a posto.
 Con la tristezza nel cuore, Doraura si rassegnò ad andare via con la madre. Sarebbero tornati nella loro casa solo quando ne sarebbe stata confermata l’agibilità, allora avrebbero potuto risistemare l’arredamento e ricominciare a viverci. Solo una lacrima scese a rigare la guancia della bambina quando lasciarono l’Arka Tower, poi, mano nella mano, lei e la mamma si allontanarono da quel posto.

 Passarono tre mesi interminabili, prima che potessero rimettere piede nella loro casa al ventesimo piano di quel grattacielo. Erano stati novanta giorni in cui Doraura non aveva mai smesso di pensare a quello che aveva lasciato e a quando avrebbe potuto ricominciare a vivere come prima. Tornare a scuola dopo quel disastro, mezza città distrutta dal terremoto, palazzi sventrati e strade inutilizzabili, alcuni compagni di classe che avevano dovuto trasferirsi per sempre in altri quartieri; era stato difficile riprendere a fare i compiti, giocare con gli amici, persino disegnare, la cosa che a Doraura piaceva più di tutte. Il comune aveva dato a lei e alla madre una casa distante da dove abitavano prima, ogni mattina per andare a scuola dovevano svegliarsi molto presto e prendere la macchina. Era tutto molto difficile, anche per una bambina come Doraura, abituata a stemperare il dolore con l’immaginazione.
 Il giorno del ritorno, quando vide l’Arka Tower completamente restaurata, quasi si mise a piangere. Avrebbero ripreso l’ascensore, sarebbero saliti al ventesimo piano e tutto sarebbe ricominciato come prima.
 Quando entrarono in casa tutto aveva un odore diverso, tanto che la bambina storse il naso.
 “Non preoccuparti, piccola, ci penserò io a restituire a questo posto il solito profumo. Per un po’ non andrò a lavorare e starò molto tempo con te”, disse la madre. Poi la prese per mano e l’accompagnò nella sua camera. Era inondata di sole come sempre, come se niente fosse successo dal giorno del terremoto, quando il cielo era altrettanto azzurro e il panorama nitido. Alcuni mobili erano nuovi, ma tutto sembrava aver recuperato il suo calore. La mamma accompagnò Doraura verso la finestra e, ancora prima che potesse parlare, la bambina fu colta da gioia e stupore immensi. Pel.
 “Visto, è tornato anche lui”, disse la mamma e la bambina questa volta non riuscì a trattenere le lacrime.
 “Mi ha salvato, sai mamma?”, disse Doraura, come se fosse la prima volta che le raccontava quella storia.
 La mamma sorrise e le stampò un bacio affettuoso sulla guancia.

 “Lo so, piccola. Lo so”.

Fine

Alessandro Del Gaudio è nato a Torino nel 1974. 

Ha pubblicato i romanzi: Il candore dei ciliegi (2001), Lungomare (2002), Le note di Nancy (2009), Aziza (2011), Metallo d’Ombra (2012), Lacrima d’Ombra (2014), Italoamericana (2016), Il tuo nome (2016), Aurora d’Inverno (2018) , Tenebra Lux (2018) e Anello D'Ombra (2019), ed il Foglio. È inoltre autore di un’antologia di racconti - Luna all’alba (2004) - e di due saggi: Identità segreta (2008) e Kyoko mon amour. Vent’anni di manga giovanili (2009). Ha curato due antologie di racconti fantastici: nel 2002 Aigam Magia e nel 2013 Tonirica.
Lavora in un importante museo nazionale e collabora con il circolo letterario Letture Corsare di Borgaro Torinese, di cui è giurato nel premio nazionale Racconti Corsari.
È inoltre bibliotecario presso la Biblioteca Delussu di Torino, nata per iniziativa dell’Associazione SanTourin, che cura progetti di cittadinanza attiva ed educativa di strada nel quartiere Borgo Vittoria.



Pagine personali su Facebook:

Alessandro Del Gaudio scrittore
L’Antro del Vespero – Il fantasy di Alessandro Del Gaudio



Prossimamente altri racconti, stay tuned!

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