giovedì 4 aprile 2019



RECENSIONE: CAPTIVE STATE






Genere: fantascienza, azione
Produzione: Usa
Durata: 109’
Regia: Rupert Wyatt
Cast: John Goodman, Ashton Sanders, Vera Farmiga



Mi mancava un film come questo, senza battaglie spaziali, ambientato sulla Terra in mano agli alieni, con atmosfere cupe, un po’ cyberpunk anni ‘70-‘80, incentrato sulla resistenza terrestre.
Non che manchino battaglie e scene d’azione, anzi, ce ne sono e girate bene. Ma la fantascienza non è solo astronavi nel cosmo.


La Terra è da nove anni in mano agli alieni, che vivono sottoterra; le parti politiche si sono riappacificate e compattate, arrendendosi subito agli invasori e consegnando loro il pianeta, non solo: combattono la resistenza con metodi da “grande fratello” e mostrano alla popolazione quanto benessere abbia portato l’incontro con questi esseri inquietanti.
L’ambientazione è statunitense, le altre città vengono citate sporadicamente e non è chiaro cosa succeda altrove.


Nello specifico, siamo a Chicago; i protagonisti sono Gabriel, che da bambino, nove anni prima, ha assistito all’uccisione dei genitori da parte degli invasori alieni, e il capo della polizia William Mulligan. Il ragazzo vive di espedienti e cerca di partire per andare “dall’altra parte del lago” quando scopre che la resistenza, della quale  suo fratello morto faceva parte, è ancora attiva col nome di Fenice, e cerca di realizzare un attentato durante un raduno allo stadio.
D qui partono tutta una serie di accadimenti, conosciamo man mano i membri della resistenza in una sequenza di scene concatenate molto interessante, scopriamo qualcosa su questi alieni e sui sistemi di controllo fino ad arrivare alla scena madre.

John Goodman è William Mulligan


Originale? No. Lo spettatore più smaliziato (tipo me) capirà sin dalle prime scene dove si andrà a parare, ma per gli altri i colpi di scena non mancano.
Quel che ha più senso è ovviamente la metafora: quella della popolazione dominata da un’altra (nazisti?) e quella dei potenti che si alleano col nemico per continuare a vivere nel loro benessere, fregandosene di chi è povero o di chi verrà dopo.
I personaggi vengono introdotti mano a mano e non si ha mai il tempo di affezionarsi a loro perché non sono molto approfonditi, ho pensato che una miniserie tv forse sarebbe stata più completa da questo punto di vista; il grande schermo però ci fornisce scene più ampie e spettacolari.
Quel che mi è piaciuto del film, oltre al messaggio, è la confezione: bravi attori, ottimo script che svela man mano, senza spiegoni, le atmosfere cupe ben sottolineate dalla fotografia, una colonna sonora che non infastidisce.

Giudizio finale: da vedere, da gustare, senza aspettarsi grosse novità se si è spettatori … di lungo corso.


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