RECENSIONE:
CAPTIVE STATE
Genere:
fantascienza, azione
Produzione:
Usa
Durata:
109’
Regia:
Rupert Wyatt
Cast:
John Goodman, Ashton Sanders, Vera Farmiga
Mi
mancava un film come questo, senza battaglie spaziali, ambientato sulla Terra
in mano agli alieni, con atmosfere cupe, un po’ cyberpunk anni ‘70-‘80,
incentrato sulla resistenza terrestre.
Non
che manchino battaglie e scene d’azione, anzi, ce ne sono e girate bene. Ma la
fantascienza non è solo astronavi nel cosmo.
La
Terra è da nove anni in mano agli alieni, che vivono sottoterra; le parti
politiche si sono riappacificate e compattate, arrendendosi subito agli
invasori e consegnando loro il pianeta, non solo: combattono la resistenza con
metodi da “grande fratello” e mostrano alla popolazione quanto benessere abbia
portato l’incontro con questi esseri inquietanti.
L’ambientazione
è statunitense, le altre città vengono citate sporadicamente e non è chiaro
cosa succeda altrove.
Nello
specifico, siamo a Chicago; i protagonisti sono Gabriel, che da bambino, nove
anni prima, ha assistito all’uccisione dei genitori da parte degli invasori
alieni, e il capo della polizia William Mulligan. Il ragazzo vive di espedienti
e cerca di partire per andare “dall’altra parte del lago” quando scopre che la
resistenza, della quale suo fratello
morto faceva parte, è ancora attiva col nome di Fenice, e cerca di realizzare
un attentato durante un raduno allo stadio.
D
qui partono tutta una serie di accadimenti, conosciamo man mano i membri della
resistenza in una sequenza di scene concatenate molto interessante, scopriamo
qualcosa su questi alieni e sui sistemi di controllo fino ad arrivare alla
scena madre.
John Goodman è William Mulligan |
Originale?
No. Lo spettatore più smaliziato (tipo me) capirà sin dalle prime scene dove si
andrà a parare, ma per gli altri i colpi di scena non mancano.
Quel
che ha più senso è ovviamente la metafora: quella della popolazione dominata da
un’altra (nazisti?) e quella dei potenti che si alleano col nemico per
continuare a vivere nel loro benessere, fregandosene di chi è povero o di chi
verrà dopo.
I
personaggi vengono introdotti mano a mano e non si ha mai il tempo di
affezionarsi a loro perché non sono molto approfonditi, ho pensato che una miniserie
tv forse sarebbe stata più completa da questo punto di vista; il grande schermo
però ci fornisce scene più ampie e spettacolari.
Quel
che mi è piaciuto del film, oltre al messaggio, è la confezione: bravi attori,
ottimo script che svela man mano, senza spiegoni, le atmosfere cupe ben sottolineate
dalla fotografia, una colonna sonora che non infastidisce.
Giudizio
finale: da vedere, da gustare, senza aspettarsi grosse novità se si è
spettatori … di lungo corso.
Uhm... sembra carino.
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