RACCONTO
OUR FAREWELL di ALESSIO DEL DEBBIO
I racconti gratis di IUF
Decameron edition #5
La serie di racconti free prosegue con Alessio Del Debbio, che ci offre Our farewell, urban fantasy legato alla sua produzione letteraria ma leggibile autonomamente.
OUR FAREWELL
Alessio Del Debbio
Ley
si tuffò nell’acqua appena in tempo, ma i suoi fratelli non furono altrettanto
veloci. Li sentì urlare e invocare l’aiuto del Signore dei Mari, poi i loro
corpi sprofondarono nelle praterie di posidonia che circondavano l’isola,
trafitti dalle frecce infuocate degli invasori. Ley nuotò tra le piante
imbrattate di sangue, afferrò la mano del compagno più vicino e gli chiuse gli
occhi sbarrati dal terrore, e forse dalla consapevolezza di essere rimasti
soli. Capiva quel sentimento, ribolliva dentro di lei da quando l’attacco era
iniziato e nessuno era giunto in loro soccorso.
Scilla
e Cariddi avevano affondato decine di navi nemiche, ma quando avevano compreso
che Poseidone non sarebbe intervenuto, erano scomparsi tra i flutti, assieme
alle misere speranze di vittoria degli Oceanini.
«Questa
non è la nostra guerra». Si erano giustificati così, tornando alla loro terra
natia, senza capire che quella guerra riguardava tutto il popolo dei mari, non
soltanto coloro che dimoravano sulla Tirrenide.
Un
tonfo improvviso rubò Ley a tristi pensieri, un altro corpo si inabissò accanto
a lei. Non si voltò, per non vedere chi altro aveva perduto. Lasciò la mano del
fratello e lo affidò alla pace delle correnti, poi si decise a reagire. Scese
in profondità, dove le frecce dei terrestri non potevano arrivare, e radunò
tutti gli Oceanini che incontrò. Nascosti negli anfratti rocciosi sotto l’isola
o dietro mucchi di sabbia, attendevano impauriti che quella follia avesse fine,
ma sperare non sarebbe bastato. Non quella volta.
L’aveva
visto, nello sguardo deciso dell’Imperatore degli uomini, ritto sulla prua
della nave ammiraglia, e in quello terrorizzato di sua madre, consapevole di
aver fallito. Quella non era una spedizione come le altre, una delle tante
schermaglie che avevano opposto i due popoli del Mare di Mezzo negli ultimi
mille anni. Quella era una guerra di conquista e sarebbe terminata soltanto con
la distruzione dell’altro.
«Ascoltatemi,
fratelli! So che siete impauriti, tutti lo siamo, ma il nostro popolo ha
bisogno di noi» disse, sperando di far leva sul senso di comunità degli
Oceanini. «Aiutatemi, cacciamo l’invasore dalla nostra terra! Possiamo
ribaltare le sorti del conflitto».
«No,
non possiamo» le rispose un anziano Oceanino.
«Ma
sì, Tritone. Attacchiamo la nave dell’Imperatore! Possiamo farlo prigioniero».
«Sei
giovane e sciocca, Ley, come tua madre che credeva possibile una pace con i
terrestri. E oggi tutti paghiamo il prezzo della sua ingenuità».
«Hai
proposte migliori?»
«Migliori?
Qualunque anfratto è meglio che andare a morire fuori dall’acqua».
«Ma
la Tirrenide è la nostra casa!»
«Rinuncia,
giovane Ley. Il nostro tempo è scaduto. L’Atlantide che rifondammo ormai
sprofonda nell’oblio, assieme ai nostri sogni di pace». Tritone non disse altro
e scomparve nell’oscurità degli abissi assieme agli altri Oceanini.
Ley
sospirò di fronte alla diaspora del suo popolo, ben lontani i giorni in cui
imperavano per tutto il Mare di Mezzo, incutendo timore ai naviganti. Era
seduta proprio tra le braccia di Tritone, su uno scoglio rivolto a oriente,
quando aveva visto una nave dei terrestri per la prima volta. Fendeva le acque
attorno alla Tirrenide, incurante dei canti ammaliatori delle sue sorelle. A
Ley era sembrata un drago sorto dalle acque, lo stesso mostro che adornava le
maestose tele gialle dell’imbarcazione. Il suo mentore l’aveva definito il
simbolo della casa di Svevia, quella che adesso guidava molti regni degli
uomini. Ley non aveva capito granché dei loro costumi, ma quel marchio le era
rimasto in mente e poche ore prima l’aveva visto sventolare di nuovo. Sulle
bandiere delle navi, sulla pelle corazzata dei soldati, sul mantello
dell’Imperatore degli uomini.
Strinse
le mani a pugno e prese a nuotare verso l’alto, spinta dalla rabbia. La vedeva
bene, proprio sopra di sé, la barchetta su cui i terrestri erano ritti a
scagliare le loro frecce di fuoco. Forse Tritone aveva ragione, non poteva mutare
le sorti della guerra, ma quella maledetta cassa di legno l’avrebbe ribaltata, poi
si sarebbe divertita con i corpi dei malcapitati che le sarebbero caduti tra le
braccia. Un ultimo colpo di pinne e se la trovò sulla testa, a chiuderle lo
spazio, a impedirle di vedere il cielo. Sollevò le braccia e prese a spingerla,
ma era troppo pesante e riuscì soltanto a smuoverla un po’.
Voci
concitate la distrassero, lunghe aste di metallo dilaniarono l’acqua attorno,
di certo impugnate dai pavidi che ne temevano i segreti. Oh, quanto avrebbe
voluto che Cariddi fosse al suo fianco, così li avrebbe fatti ballare con il
suo vortice. Lei invece di forza non ne aveva, poté solo schiacciarsi contro il
fondo della barca, per schivare gli affondi, ma una lama la raggiunse a un
braccio, strappandole un grido. Perse la presa e scivolò in profondità, lasciandosi
dietro una scia di sangue azzurrognolo. L’arto le doleva e temeva che presto
l’avrebbe perso.
Sapeva
come combattevano i terrestri, con il fuoco e col veleno, con l’inganno e la
tortura. Aveva visto i corpi mutilati delle sirene sue sorelle, le ali strappate
via, come se le bestie di Scilla c’avessero giocato. Troppi cadaveri aveva
ritrovato sulle coste sabbiose o nelle lagune in cui si era spinta assieme ai
fratelli, incuriositi, persino attratti, dalla strana razza che viveva sulla
terraferma. Forse Tritone aveva ragione, forse la pace era un’utopia, eppure
sua madre ci aveva creduto e si era battuta per dare un futuro agli Oceanini. Cosa
era rimasto dei suoi insegnamenti?
Quando
ritenne di essersi allontanata a sufficienza, iniziò a salire, sforzandosi di
rimanere lucida. Si ritrovò dietro la carcassa di una nave abbandonata, l’acqua
che stava riempiendo le falle, la corrente che portava via i corpi dei caduti.
Terrestri e marini. Umani e Oceanini. Ecco cosa sarebbe rimasto del loro mondo.
Tutt’attorno risuonavano le grida dell’invasore, mentre la Tirrenide si
spaccava, distrutta dalle fiamme e dalla paura della diversità. Non era per tale
motivo che l’Imperatore degli uomini aveva riunito quella grande armata? Per
combattere ciò che non comprendevano?
Uno
scricchiolio la raggiunse. Un riflesso scintillò sull’acqua. Si voltò e vide un
soldato che si teneva al corrimano, l’altra mano stretta a una lancia dalla
punta insanguinata. La sollevò e fece per tirargliela, quando un’agile figura
balzò fuori dal mare e lo atterrò. Ruzzolarono sul ponte, con lui che scalciava
e tentava di agguantarla e lei che lesta guizzava via.
«Madre!»
gridò Ley.
«Fuggi,
piccola mia!»
«Vieni
con me!»
La
signora degli Oceanini sorrise, poi affondò i denti nel collo del soldato, facendolo
stramazzare sul ponte. A fatica raggiunse la figlia, notando subito la ferita
al braccio.
«Sei
infetta. Dobbiamo estrarre il veleno. Chissà quali erbe venefiche avranno usato.
Con una mano gli uomini ci proponevano un trattato di pace, con l’altra già
impugnavano le armi».
«Non
c’è tempo, madre. Dobbiamo andare, trovare un riparo».
«Lo
faremo. Starai bene, te lo prometto» annuì lei, afferrandole il braccio. Lo
avvicinò alla bocca e prese a succhiar via il veleno.
«Madre,
che fai? No, smettila. È pericoloso». Ma per quanto provasse, Ley non riuscì a
divincolarsi, finché sua madre non la lasciò libera.
«Ecco…
ora sei salva» mormorò. In quella, una punta di lancia le spuntò dal petto, ferendo
anche Ley e spingendola indietro. Alle sue spalle il soldato si accasciò sulla
nave che sprofondava.
«Madre!»
«Va’,
piccola mia! Trova un posto dove ricominciare. Un posto da chiamare casa».
Ley
esitò, incapace di abbandonarla, ma l’altra la spinse via, lasciando che il
riflusso delle correnti la trascinasse negli abissi. Allora nuotò, tra le
rovine del mondo, tra le fiamme che non avrebbero mondato tutto quell’orrore.
Lasciò il mare e risalì un fiume, si perse nei suoi affluenti, ristagnò in un
lago, poi riprese ad avanzare senza meta, sorretta soltanto dalla volontà di
rispettare la promessa. Nuotò finché ebbe forze, poi si abbandonò alle
correnti.
Al
risveglio, giaceva su una spiaggia rocciosa, il corpo ferito e sanguinante.
Attorno a lei una bruma avvolgeva il mondo, simile a quella che al mattino
solleticava i campi di posidonia attorno all’isola natia, ma le bastarono i
suoni e gli odori per capire che era nel regno degli uomini, la Tirrenide ormai
un ricordo lontano. Levò lo sguardo e là, in alto, vide una rupe stagliarsi
fino a sfidare il sole. Si arrampicò sulla parete di roccia, cadendo e
riprovando, finché non la raggiunse e poté ammirare la gola del fiume in cui si
trovava. La terra in cui sarebbe stata prigioniera a vita.
Sospirò
e pianse, poi pensò che sua madre non avrebbe voluto vederla così. Era l’ultima
degli Oceanini e la sua voce non doveva scomparire. L’avrebbe conservata, per
cantare la sua rabbia e il suo dolore, ne avrebbe fatto un’arma e un giorno
avrebbe avuto la sua vendetta. Un giorno i terrestri avrebbero conosciuto il
canto di Lorelei, la signora del Reno.
Alessio Del Debbio
Viareggino, appassionato di fantastico, ha frequentato i corsi di scrittura di Mirko Tondi, scrittore e giornalista toscano. Numerosi suoi racconti sono usciti in riviste (come Con.tempo e StreetBook Magazine) e in antologie (come I mondi del fantasy, di Limana Umanìta, Racconti Toscani, di Historica Edizioni, Sognando, di Panesi Edizioni).
I suoi ultimi libri sono la saga urban fantasy contemporanea Ulfhednar War - La guerra dei lupi (Edizioni Il Ciliegio, 2017), I Figli di Cardea (Edizioni il Ciliegio, 2018), l'urban fantasy Berserkr (Dark Zone Edizioni, 2017) e le antologie di racconti "L'ora del diavolo" e "Quando Betta filava" (NPS Edizioni).
Cura il blog "I mondi fantastici" che promuove scrittori emergenti di letteratura fantastica italiana.
Dall'estate 2015 organizza la rassegna "Un libro al tramonto" - Aperitivi letterari a Viareggio, per far conoscere autori toscani.
Il suo sito è www.alessiodeldebbio.it
La sua pagina Facebook "I mondi fantastici".
Tra pochi giorni un altro racconto, stay tuned! 😉
Grazie per questo Decamerone che di accompagna!
RispondiEliminaE' sempre bello leggere frammenti dai mondi di Alessio.
Assolutamente sì!
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