Recensione: Legion (serie tv)
La
prima stagione di Legion è terminata da un po’ di tempo, ma non l’ho recensita
subito perché non avevo ancora deciso se la serie mi è piaciuta o meno.
Non
ho deciso nemmeno adesso!
Di
sicuro avevo molte aspettative sulla prima serie tv dedicata a un mutante, a un
X-Men vero e proprio, chiamato col suo nome, anche se la scelta da parte dei
produttori di uno dei personaggi più complessi dell’intero cosmo Marvel mi ha
lasciata da subito perplessa.
Il
pilot mi ha letteralmente fomentato; poi, col susseguirsi delle puntate, la
perplessità si faceva di volta in volta più evidente, vuoi perché non c’era
traccia del resto degli X-Men (ma questo è il minimo, è solo la prima
stagione…), vuoi perché era tutto confuso, difficile da seguire, rasentando
l’insensato. Le ultime due puntate per fortuna hanno almeno in parte spiegato
l’arcano, tirando fuori un villain che anche nei fumetti ha avuto a che fare
con Nostro e con gli altri eroi mutanti.
In
realtà, questo caos è perfettamente in linea con la mente frammentata di
Legion, ma per il modo in cui è stato utilizzato questo tema, la serie risulta
davvero poco fruibile.
David
Haller è un giovane schizofrenico, almeno così gli dicono; invece no. Nel fumetto
è ugualmente schizofrenico, e ognuna delle sue personalità ha un potere: la sua
mente è così frammentata e devastata che le sue avventure sono psichedeliche a
dir poco, e questo come ho detto è stato ottimamente reso dalla serie tv. Nella
serie si trova nella clinica psichiatrica Clockwork (v. Arancia Meccanica…)
Psychiatric Hospital, dove si trova bene e si fidanza con Sidney, anche lei
dotata di poteri. Dopo varie peripezie, David viene rapito da una struttura
segreta governativa, e poi liberato da
Melanie Bird e dal suo gruppo di mutanti, tra cui Sidney.
L’ambientazione
a-temporale, un po’ anni ’60-’70 ma con tecnologie attuali, l’ho trovata molto
carina, e l’interprete di David, Dan Stevens, molto bravo, così come Lenny,
interpretata da Aubrey Plaza.
Di
sicuro è un prodotto originale, non è la solita storia insomma; però risulta
alla fine troppo di nicchia, difficile
da seguire e cervellotico, a tratti snervante, anche se nell’epilogo tutto (o
quasi) viene svelato e si capisce che c’è un senso in quei flashback confusi e
onirici.
Mi
aspetto una seconda stagione meno cervellotica, più fruibile sia dai neofiti che
dai più navigati Marvel-fan; presumo che si scopriranno le origini del mutante.
Nei fumetti David Haller /Legion, creato nel 1985 da Claremont e Sienkiewitcz
(due geni, lasciatemelo dire) è figlio di Charles Xavier e di Gabrielle Haller;
il padre ha ignorato la sua esistenza per lungo tempo, venendo a sapere di lui
solo grazie alla dott.sa Moira Mc Taggart, che tiene Legion custodito in una
struttura nell’isola di Muir. Nelle numerose avventure di cui è protagonista,
oscilla sempre tra normalità e follia, e le trame sono sempre incentrate sul
conflittuale rapporto padre/figlio.
Nella serie per ora si sa solo che è stato
adottato, e ha una sorella adottiva.
Che
piega prenderà? Lo scopriremo solo…vedendo!
L'idea della schizofrenia, con varie personalità ciascuna dotata di un potere, fa venire il mal di testa già di suo, però è interessante. "Clockwork", in inglese, vuol dire meccanismo a orologeria. Infatti, " Clockwork orange" è, appunto, Arancia Meccanica" . Allusione? Citazione?
RispondiEliminaEntrambe, credo.
EliminaIo l'ho adorata. Al contrario di te, io spero che le peculiarità che hanno reso "incredibile" la prima stagione non scompaiano nella seconda.
RispondiEliminaPerché essere di "nicchia" lo usi come dispregiativo?
>"difficile da seguire e cervellotico, a tratti snervante"
È volutamente così.
Ciao! "di nicchia" per me non è dispregiativo; "troppo" di nicchia invece risulta un prodotto fruibile per pochissime persone, e non amo l'esclusività eccessiva.
RispondiEliminaCiao! Certo, capisco ben cosa intendi. Ci sta. Io però la penso diversamente. La fruibilità è un aspetto "esterno" al contenuto dell'opera. L'arte non deve porsi nessun limite. Il problema è la maggior parte della gente, che non accetta la diversità, ma vuole che tutto rientri in uno standard a loro conosciuto, di facile fruibilità.
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