Recensione:
Ghost in the Shell
“Ghost
in the Shell” è un franchise che
prende il via dal manga omonimo di Masamune Shirow, per poi approdare sul
grande schermo nel 1995 con l’ anime diretto da Mamoru Oshii, un successo
internazionale. A questo sono seguite
due serie animate, videogames, romanzi, un sequel del 2004, e infine è arrivato
il live action quest’anno.
Confesso
subito di non aver letto i manga, né visto la serie tv, ma solo i due film animati,
rivedendo anzi quello del 1995 di cui avevo scarsa memoria...
Partiamo proprio dall’anime del 1995, Ghost in the Shell- Lo spirito nel guscio.
Siamo
ne 2029, e gli esseri umani hanno iniziato il potenziamento tramite impianti
cibernetici. La protagonista è una di loro, il Maggiore Motoko Kusanagi, che fa
parte della Section 9 comandata da Daisuke Aramaki. Coi colleghi Batou e
Ishikawa indaga su un caso di rapimento connesso al misterioso Progetto 2501.
Da qui la trama si infittisce: entra in campo il misterioso “Burattinaio”, che
riesce ad hackerare i cervelli
cibernetici. Mentre il Maggiore e i suoi uomini indagano, nella sede della
Megatech, produttice di impianti cibernetici e fornitrice della Section 9, si
autocrea un corpo meccanico femminile. Qui entra in gioco la filosofia vera e
propria del film: il robot ha un ghost, ovvero uno spirito. Il Maggiore decide
di inserirsi in questo essere per entrare in contatto con il suo spirito.
L’automa afferma di essersi auto creato, di essere dunque un essere vivente al
pari degli esseri umani, in quanto i programmi informatici hanno una matrice e
si sviluppano al pari del DNA umano. L’essere è il Burattinaio stesso. I membri della Sezione 9 lo rapiscono, e dopo
fughe, inseguimenti e indagini varie, il Maggiore si connette di nuovo col
Burattinaio, che afferma di essere il progetto 2501, una intelligenza che non
solo hackera i cyborg ma che è in grado
di divenire autocosciente. Chiede dunque al Maggiore di unirsi a lui per
sempre, creando così una nuova forma di vita.
Di
questo anime è apprezzabile non solo l’idea di fondo e la trama ben congegnata,
anche se molto complessa, ricca di spunti filosofici e metafisici, ma anche i
disegni di altissima qualità, con sfondi dettagliati, ombreggiature realistiche
e animazione fluida. Circa la storia, è tipico delle opere giapponesi lasciare
molte domande aperte e non spiegare proprio tutto con chiarezza.
L’anime
del 2004 , Ghost in the Shell- L’attacco dei cyborg, sempre diretto da Oshii, è
ambientato nel 2032, e i cyborg sono ormai molto più numerosi dei semplici
umani.
Batou, ormai quasi completamente cyborg, e la recluta Togusa indagano, per conto della
Section 9 sulla società Locus Solus, produttrice di ginoidi da compagnia che però
sono “impazzite”, attaccando gli umani e poi suicidandosi. Vengono così a
scoprire che la società è riuscita a creare tante anime (ghost) duplicando
quelle di fanciulle rapite, ma che il ghost principale moriva dopo la
clonazione, e questa scoperta avviene grazie alla rediviva Maggiore Kusanagi
che si connette a una di queste ginoidi, per poi sparire di nuovo “nella vasta
e immensa rete”.
I
progressi della CGI hanno permesso di creare ottimi sfondi e ambientazioni e
dare profondità al design dei personaggi, ma trovo che i movimenti siano poco
fluidi, scattosi, pecca questa di tutti i nuovi cartoni e anime in CGI. Ci sono molte scene oniriche e l’intreccio è
meno complesso rispetto al precedente.
Se nel film del 1995 il tema di fondo era
sulla questione “chi si può definire
vivo e chi no”, qui la questione si sposta su un altro fatto: il cyborg è o no
superiore all’uomo?
E
veniamo al live action diretto da
Sanders.
Il
Maggiore Mira Killian (sic!) è un cyborg della Sezione 9, guidata da Daisuke
Aramaki, che deve indagare, con Batou e altri colleghi, su un misterioso
individuo che, hackerando alcuni robot, attenta alla vita di un alto dirigente
della Hanko Corporation, azienda creatrice di cyborg. La donna ha dei flashback
sul suo passato: la dottoressa Ouelet l’ha infatti resa un cyborg per salvarla
dalla morte certa, in seguito a un attentato terroristico in cui morirono i
suoi genitori, e lei non ricorda niente a riguardo. Grazie a questi flashback e
all’incontro con l’hacker ricercato scoprirà che le cose non sono quelle che
sembrano.
Iniziamo
col dire che sin da subito è tutto molto chiaro, molto spiegato e molto diverso
dallo…spirito dell’opera originale. Qui la questione non è “sono vivo o no”, e
neppure “le AI sono migliori degli esseri umani o no”; qui riciccia il solito
tema del cyborg, che non sa se è umano o no, ignobilmente sfruttato dalle
corporazioni: al cinema già visto in Blade Runner, in Robocop, e in numerosi
anime/manga, tra cui i Cyborg 009. La trama è molto più chiara rispetto a
quella degli anime precedenti, e questo di per sé non è un male, ma alla fine
risulta semplicistica rispetto alle implicazioni metafisiche e filosofiche
insite nelle opere precedenti: ho avuto l’impressione che produzione e regia
non abbiano voluto osare di più, per non mettere lo spettatore a disagio e per offrirgli
un prodotto più in linea con le attuali produzioni di action movie sci-fi e
supereroistici.
Le
affinità e le divergenze coi film originari sono moltissime, mi piace elencare
alcune scene identiche : l’incipit, con il Maggiore che si leva l’impermeabile
e si butta dal grattacielo diventando invisibile, come nel film del 1995; il cagnolone
amico di Batou; la presenza di una scienziata che fuma e poi solleva la calotta
cranica per inserire un visore, questi due visti nel film del 2004.
Attenzione
! SPOILER!
Di
uguale c’è anche il combattimento col robot-ragno; una divergenza incolmabile
invece è sul personaggio del Burattinaio, incorporeo nel primo film, reale qui,
che si presenta incappucciato manco fosse Darth Sidious!
FINE
SPOILER!
Un
personaggio nuovo è quello della dottoressa Ouelet, interpretata da Juliette
Binoche.
Mi
è piaciuto questo cast internazionale, europeo, asiatico e americano, e ho
apprezzato che al personaggio europeo (la Ouelet della Binoche appunto) sia
stato attribuito il ruolo del personaggio più umano, quello con il “cuore” .
Takeshi Kitano è mitico, e ho apprezzato molto l’idea di lasciarlo parlare in
giapponese sottotitolato per tutto il film. La Scarlett Johannson ormai si è
specializzata nel ruolo di supereroina action e fantascientifica, ma ormai fa
sempre le stesse facce: in certi momenti mi sembrava di stare guardando Black
Widow e gli Avengers! Benissimo anche Batou, interpretato da Pilou Asbæk (Euron
Greyjoy nel Trono di Spade); carina l’idea di mostrarlo all’inizio senza
visibili protesi artificiali, e solo successivamente,in seguito a un incidente, con l’impianto
oculare cibernetico con cui lo abbiamo conosciuto negli anime.
L’ambientazione
futuristica non è male, si fa notare soprattutto per la presenza degli enormi
ologrammi presenti nella città; gli effetti in CGI non sono male, ma si poteva
fare di meglio. I costumi e il trucco mi sono piaciuti, tranne l’orribile
parrucca indossata da Scarlett Johansson: orrenda! Bene il ritmo, la musica è
del giusto stile, ma il brano più famoso degli anime è stato relegato ai titoli
di coda; bene anche il montaggio. C’è un giusto equilibrio tra scene di azione
e scene in cui si affrontano le altre questioni del film.
Quindi
un buon prodotto, destinato ad
avere un sequel, con un finale
ovviamente diverso dal film del 1995; non è l’unica differenza, ma la questione
non è l’aderenza o meno ai film precedenti; il problema è che è stata snaturata
l’idea base dell’opera, semplicizzandola e privandola degli spunti metafisici e
filosofici.
Piacerà
a chi non conosce l’opera, tutti gli altri (tipo me) usciranno dal cinema
perlomeno delusi.
I due anime hanno segnato l'adolescenza, mi è impossibile non farmi venire gli occhi a cuoricione solo leggendo il titolo :3
RispondiEliminaIl film con la Scarlettina cercherò di vederlo col terzo occhio della tamarraggine, vediamola così...
La peppa !!!!!!
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