martedì 4 aprile 2017

Recensione: Ghost in the Shell 



Ghost in the Shell” è un franchise che prende il via dal manga omonimo di Masamune Shirow, per poi approdare sul grande schermo nel 1995 con l’ anime diretto da Mamoru Oshii, un successo internazionale.  A questo sono seguite due serie animate, videogames, romanzi, un sequel del 2004, e infine è arrivato il live action quest’anno.
Confesso subito di non aver letto i manga, né visto la serie tv, ma solo i due film animati, rivedendo anzi quello del 1995 di cui avevo scarsa memoria...







Partiamo proprio dall’anime del 1995, Ghost in the Shell- Lo spirito nel guscio.


Siamo ne 2029, e gli esseri umani hanno iniziato il potenziamento tramite impianti cibernetici. La protagonista è una di loro, il Maggiore Motoko Kusanagi, che fa parte della Section 9 comandata da Daisuke Aramaki. Coi colleghi Batou e Ishikawa indaga su un caso di rapimento connesso al misterioso Progetto 2501. Da qui la trama si infittisce: entra in campo il misterioso “Burattinaio”, che riesce ad hackerare  i cervelli cibernetici. Mentre il Maggiore e i suoi uomini indagano, nella sede della Megatech, produttice di impianti cibernetici e fornitrice della Section 9, si autocrea un corpo meccanico femminile. Qui entra in gioco la filosofia vera e propria del film: il robot ha un ghost, ovvero uno spirito. Il Maggiore decide di inserirsi in questo essere per entrare in contatto con il suo spirito. L’automa afferma di essersi auto creato, di essere dunque un essere vivente al pari degli esseri umani, in quanto i programmi informatici hanno una matrice e si sviluppano al pari del DNA umano. L’essere è il Burattinaio stesso.  I membri della Sezione 9 lo rapiscono, e dopo fughe, inseguimenti e indagini varie, il Maggiore si connette di nuovo col Burattinaio, che afferma di essere il progetto 2501, una intelligenza che non solo hackera i cyborg ma che è  in grado di divenire autocosciente. Chiede dunque al Maggiore di unirsi a lui per sempre, creando così una nuova forma di vita.
Di questo anime è apprezzabile non solo l’idea di fondo e la trama ben congegnata, anche se molto complessa, ricca di spunti filosofici e metafisici, ma anche i disegni di altissima qualità, con sfondi dettagliati, ombreggiature realistiche e animazione fluida. Circa la storia, è tipico delle opere giapponesi lasciare molte domande aperte e non spiegare proprio tutto con chiarezza.

L’anime del 2004 , Ghost in the Shell- L’attacco dei cyborg, sempre diretto da Oshii, è ambientato nel 2032, e i cyborg sono ormai molto più numerosi dei semplici umani. 

Batou, ormai quasi completamente cyborg,  e la recluta Togusa indagano, per conto della Section 9 sulla società Locus Solus, produttrice di ginoidi da compagnia che però sono “impazzite”, attaccando gli umani e poi suicidandosi. Vengono così a scoprire che la società è riuscita a creare tante anime (ghost) duplicando quelle di fanciulle rapite, ma che il ghost principale moriva dopo la clonazione, e questa scoperta avviene grazie alla rediviva Maggiore Kusanagi che si connette a una di queste ginoidi, per poi sparire di nuovo “nella vasta e immensa rete”.
I progressi della CGI hanno permesso di creare ottimi sfondi e ambientazioni e dare profondità al design dei personaggi, ma trovo che i movimenti siano poco fluidi, scattosi, pecca questa di tutti i nuovi cartoni e anime in CGI.   Ci sono molte scene oniriche e l’intreccio è meno complesso rispetto al precedente.
 Se nel film del 1995 il tema di fondo era sulla questione  “chi si può definire vivo e chi no”, qui la questione si sposta su un altro fatto: il cyborg è o no superiore all’uomo?

E veniamo al live action diretto  da Sanders.
Il Maggiore Mira Killian (sic!) è un cyborg della Sezione 9, guidata da Daisuke Aramaki, che deve indagare, con Batou e altri colleghi, su un misterioso individuo che, hackerando alcuni robot, attenta alla vita di un alto dirigente della Hanko Corporation, azienda creatrice di cyborg. La donna ha dei flashback sul suo passato: la dottoressa Ouelet l’ha infatti resa un cyborg per salvarla dalla morte certa, in seguito a un attentato terroristico in cui morirono i suoi genitori, e lei non ricorda niente a riguardo. Grazie a questi flashback e all’incontro con l’hacker ricercato scoprirà che le cose non sono quelle che sembrano.
Iniziamo col dire che sin da subito è tutto molto chiaro, molto spiegato e molto diverso dallo…spirito dell’opera originale. Qui la questione non è “sono vivo o no”, e neppure “le AI sono migliori degli esseri umani o no”; qui riciccia il solito tema del cyborg, che non sa se è umano o no, ignobilmente sfruttato dalle corporazioni: al cinema già visto in Blade Runner, in Robocop, e in numerosi anime/manga, tra cui i Cyborg 009. La trama è molto più chiara rispetto a quella degli anime precedenti, e questo di per sé non è un male, ma alla fine risulta semplicistica rispetto alle implicazioni metafisiche e filosofiche insite nelle opere precedenti: ho avuto l’impressione che produzione e regia non abbiano voluto osare di più, per non mettere lo spettatore a disagio e per offrirgli un prodotto più in linea con le attuali produzioni di action movie sci-fi e supereroistici.
Le affinità e le divergenze coi film originari sono moltissime, mi piace elencare alcune scene identiche : l’incipit, con il Maggiore che si leva l’impermeabile e si butta dal grattacielo diventando invisibile, come nel film del 1995; il cagnolone amico di Batou; la presenza di una scienziata che fuma e poi solleva la calotta cranica per inserire un visore, questi due visti nel film del 2004.

Attenzione ! SPOILER!

Di uguale c’è anche il combattimento col robot-ragno; una divergenza incolmabile invece è sul personaggio del Burattinaio, incorporeo nel primo film, reale qui, che si presenta incappucciato manco fosse Darth Sidious!

FINE SPOILER!

Un personaggio nuovo è quello della dottoressa Ouelet, interpretata da Juliette Binoche.
Mi è piaciuto questo cast internazionale, europeo, asiatico e americano, e ho apprezzato che al personaggio europeo (la Ouelet della Binoche appunto) sia stato attribuito il ruolo del personaggio più umano, quello con il “cuore” . Takeshi Kitano è mitico, e ho apprezzato molto l’idea di lasciarlo parlare in giapponese sottotitolato per tutto il film. La Scarlett Johannson ormai si è specializzata nel ruolo di supereroina action e fantascientifica, ma ormai fa sempre le stesse facce: in certi momenti mi sembrava di stare guardando Black Widow e gli Avengers! Benissimo anche Batou, interpretato da Pilou Asbæk (Euron Greyjoy nel Trono di Spade); carina l’idea di mostrarlo all’inizio senza visibili protesi artificiali, e solo successivamente,in seguito a un incidente, con l’impianto oculare cibernetico con cui lo abbiamo conosciuto negli anime.
L’ambientazione futuristica non è male, si fa notare soprattutto per la presenza degli enormi ologrammi presenti nella città; gli effetti in CGI non sono male, ma si poteva fare di meglio. I costumi e il trucco mi sono piaciuti, tranne l’orribile parrucca indossata da Scarlett Johansson: orrenda! Bene il ritmo, la musica è del giusto stile, ma il brano più famoso degli anime è stato relegato ai titoli di coda; bene anche il montaggio. C’è un giusto equilibrio tra scene di azione e scene in cui si affrontano le altre questioni del film.
Quindi un buon prodotto, destinato  ad avere  un sequel, con un finale ovviamente diverso dal film del 1995; non è l’unica differenza, ma la questione non è l’aderenza o meno ai film precedenti; il problema è che è stata snaturata l’idea base dell’opera, semplicizzandola e privandola degli spunti metafisici e filosofici.
Piacerà a chi non conosce l’opera, tutti gli altri (tipo me) usciranno dal cinema perlomeno delusi.





2 commenti:

  1. I due anime hanno segnato l'adolescenza, mi è impossibile non farmi venire gli occhi a cuoricione solo leggendo il titolo :3
    Il film con la Scarlettina cercherò di vederlo col terzo occhio della tamarraggine, vediamola così...

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