Recensione:
Nell’ombra e nella luce di G. De Cataldo
Genere:
giallo storico
Pagine:
218
Editore:
Einaudi
Anno:
2014
Collana.
Stile libero big
Prezzo
di copertina: € 14
Sinossi:
1848. Nella Torino di Carlo
Alberto, che si accende a giorno con mille fanali per l'illuminazione a gas,
un'ombra turba la festa. È l'ombra lunga di un demonio col naso d'argento, che
somiglia a Scaramouche, ma strazia giovani donne. Il suo nome è solo sussurrato.
Prima che la paura del misterioso Diaul generi rivolte, dovrà scendere in campo
Emiliano Mercalli di Saint-Just, giovane ufficiale dei Carabinieri Reali, eroe
di Pastrengo. Ma l'aitante Emiliano è un po' confuso. Come fa il Diaul a
riempire di terrore le notti dei buoni cittadini, se lo stesso Emiliano l'ha
spedito da un pezzo all'Ospedale dei Pazzarelli? E oltretutto dopo una caccia
all'uomo che gli ha fatto perdere il suo migliore amico, il molto sapiente
medico-detective Gualtiero Lancefroid, e la bellissima, affascinante, troppo
libera fidanzata, Naide Malarò, idolo dei teatri cittadini.
Con il maldestro, coraggioso, contraddittorio Emiliano di Saint-Just, chiamato a investigare su efferate uccisioni, opera di uno sfuggente criminale che somiglia a un diavolo, Giancarlo De Cataldo ci trasporta in una Torino divisa tra slancio progressista e reazione, nuove tecnologie e vecchi pregiudizi, inconsueta per l'occhio di oggi, ma nella quale è facile ambientarsi per la naturalezza e la precisione dei dettagli: da una nuova grande piazza appena costruita alla mefitica paludosa Vanchiglia, a un gran ballo a Palazzo Carignano, a un dinamicissimo Ghetto dove gli ebrei combattono per non diventare il capro espiatorio della rabbia e della paura di tutti. E sotto i nostri occhi, mentre un Cavour infuriato rischia di esser preso a bastonate dal reazionario duca di Pasquier, e le alte sfere consigliano al giovane carabiniere di cercare il colpevole preferibilmente negli strati piú bassi e «infami» della città, impartendogli una lezione di modernissimo controllo sociale, si svolge una vorticosa, molto attuale commedia umana. Le opposizioni private e pubbliche di gelosia e amore, obbedienza e libertà, viltà e coraggio, politica e crimine, tipiche del futuro carattere nazionale degli italiani, fanno qui le prove generali, come a teatro. E il Diaul, che sia un mostro malvagio, un assassino seriale o la pedina di un complotto politico, diventa la cifra, il luogo geometrico delle contraddizioni di tutti. Senza smettere di far paura, tutt'altro.
Con il maldestro, coraggioso, contraddittorio Emiliano di Saint-Just, chiamato a investigare su efferate uccisioni, opera di uno sfuggente criminale che somiglia a un diavolo, Giancarlo De Cataldo ci trasporta in una Torino divisa tra slancio progressista e reazione, nuove tecnologie e vecchi pregiudizi, inconsueta per l'occhio di oggi, ma nella quale è facile ambientarsi per la naturalezza e la precisione dei dettagli: da una nuova grande piazza appena costruita alla mefitica paludosa Vanchiglia, a un gran ballo a Palazzo Carignano, a un dinamicissimo Ghetto dove gli ebrei combattono per non diventare il capro espiatorio della rabbia e della paura di tutti. E sotto i nostri occhi, mentre un Cavour infuriato rischia di esser preso a bastonate dal reazionario duca di Pasquier, e le alte sfere consigliano al giovane carabiniere di cercare il colpevole preferibilmente negli strati piú bassi e «infami» della città, impartendogli una lezione di modernissimo controllo sociale, si svolge una vorticosa, molto attuale commedia umana. Le opposizioni private e pubbliche di gelosia e amore, obbedienza e libertà, viltà e coraggio, politica e crimine, tipiche del futuro carattere nazionale degli italiani, fanno qui le prove generali, come a teatro. E il Diaul, che sia un mostro malvagio, un assassino seriale o la pedina di un complotto politico, diventa la cifra, il luogo geometrico delle contraddizioni di tutti. Senza smettere di far paura, tutt'altro.
Questo è il secondo romanzo di De
Cataldo che leggo (il primo è stato il mitico Romanzo criminale) , e anche
stavolta sono rimasta soddisfatta.
Il magistrato-scrittore dunque riesce
a incuriosire e appassionare anche quando ambienta le sue storie in un’altra
epoca storica. Per questo romanzo ha scelto quel Risorgimento che tanto gli
interessa, e che invece come periodo storico è malvisto dagli editori, come ha
raccontato lo stesso autore a un incontro alla Biblioteca Giordano Bruno ( Roma
) tenutosi nella primavera del 2016 e a cui ero presente anche io.
De Cataldo alla Biblioteca G. Bruno (ph Alessandra Leonardi) |
Il romanzo è ambientato nel 1848,
ma la parte centrale è un excursus sui fatti avvenuti prima dell’aggressione a
Emiliano del redivivo assassino, il Diaul, ambientata nel 1846; nella terza
parte si torna al 1848. Ottima scelta, il flashback dà ancora più vivacità alla
storia, che non risulta mai noiosa.
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«Lui era lí, chino su di me, come
quella prima sera. Vedevo la sua bocca dalla piega amara, a stento coperta dal
becco argenteo. La sua voce era quella di sempre: calda, profonda, educata.
Posso riferirti esattamente le sue ultime parole: "Non è ancora tempo di
morire, signor Saint-Just. Sarò io a decidere quando"».
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De Cataldo utilizza nella
narrazione molti termini desueti che a me piacciono molto, e calzano anche a
pennello vista l’epoca in cui si muovono i nostri eroi.
(Poi però se li uso io mi dicono
che ho uno stile passato e da svecchiare, ma vabbè…)
I personaggi, Emiliano, Gualtiero
e Naide, sono molto ben caratterizzati; l’ambientazione è perfettamente resa,
anche se De Cataldo in alcuni punti non lesina l’infodump, specie nel capitolo in cui viene introdotto il ghetto
ebraico di Torino… ma lo capisco! Dopo tutti i testi che è necessario studiare
per approfondire un periodo storico poi ti rode non inserire nel romanzo il
frutto delle proprie fatiche, anche se potrebbe essere tagliato
tranquillamente!
Non conosco bene il periodo in questione e quindi non sono in grado di
accorgermi se ci sono sviste o errori storici, ma visti i dettagli penso che
l’autore abbia approfondito molto.
Circa l’edizione, è curata; la
cover invece non mi piace. C’è un quadro di Fattori del 1872 che ritrae tre
carabinieri dell’epoca a cavallo, e va pure
bene perché il protagonista è un carabiniere, ma sarebbe stato meglio
qualcosa di più rappresentativo e/o inquietante, come ad esempio la maschera
che indossa il Diaul. Pure il titolo è
troppo generico, “Nell’ombra e nella luce” potrebbe andare bene per altre
diecimila storie! Anche in questo caso potevano pensarci un po’ di più e personalizzare.
A parte questi dettagli, è un
romanzo che consiglio a tutti, scorrevole, piacevole, interessante e che
cattura.
M' intriga mucho. Bella recensione. Convincente e acchiappante. E poi De Cataldo mi piace assai. Grazie del suggerimento librario. ;)
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