I
LIBRI SIBILLINI- PARTE II
Dopo
aver parlato nell’articolo del mese precedente dei Libri Sibillini in generale,
entriamo più nello specifico e analizziamo il loro contenuto e gli avvenimenti correlati descritti dai
cronisti del tempo; la mia fonte primaria è la tesi di laurea di Sara
Fattor “ La scirttura sibillina- I Libri fatales della storia romana”,
interessantissima, che si trova facilmente in rete e che vi invito a leggere
per approfondire questa sintesi.
In questa seconda parte analizzeremo i consulti avvenuti nel V sec a.C.
Il primo episodio
legato ad una consultazione dei libri Sibillni, riportato da
Plutarco, avviene nel 504 a.C., nel quarto consolato di Publio
Valerio Publicola.
Durante l’anno si sarebbero verificate una
serie di aborti e nascite di bambini malformati (cioè prodigia segnalanti
una crisi riguardante la riproduzione).
Il console, dopo aver
letto i libri, istituì dei sacrifici ad Ade e ripristinò quei giochi, i ludi , precedentemente prescritti da un oracolo di Apollo.
Il primo console
Publicola non si avvalse in questo caso dei duumviri sacris faciundi (il
collegio sacerdotale addetto all’interpretazione di libri all’inizio era
composto da soli due individui), leggendo e interpretando da solo i testi.
La seconda
consultazione del V sec. a.C. si colloca nel 496 a.C., ed è
riportata solo da
Dionigi. Si tratta di un episodio molto importante perchè
pone un intervento sibillino all’ origine
della fondazione del tempio di
Ceres, Liber e Libera sull’Aventino.
L’episodio avviene
poco prima della battaglia del lago Regillo, lo scontro che
segna, secondo la
tradizione, la vittoria romana sulla Lega Latina (499/496
a.C.). Dionigi
racconta che, poco prima di partire con l’esercito, il dittatore
Aulo Postumio aveva
ordinato ai duumviri di consultare i libri Sibillini, per
porre fine ad una carestia
che aveva colpito Roma.
I duumviri indicano il
bisogno di propiziarsi le divinità Ceres, Liber e Libera (divinità correlate all’agricoltura e
alla vegetazione)
Postumio promette
quindi di votare un tempio e istituire
dei ludi alle
tre
divinità designate, qualora
sia assicurata nuovamente l’abbondanza di generi
alimentari alla città.
La terza consultazione
del V secolo è testimoniata solo da Dionigi, che sostiene il ricorso ai libri
nel 488 a.C., quando Roma si trovò nuovamente in procinto di fronteggiare un
conflitto interno.
Nello specifico si tratta di decidere se
portare guerra o no a Marcio Coriolano, il patrizio che
dopo essere stato
mandato in esilio per il suo dispotismo e per essersi
opposto alla
distribuzione del grano alla plebe, si era rifugiato presso i Volsci
ponendosi alla loro
guida contro i Romani. Nell’episodio in questione,
l’esercito di
Coriolano, formato dai Volsci, si trova accampato alle porte di
Roma.
La decisione di non
affrontare Coriolano venne
presa non solo in
virtù di considerazione politiche, ma anche in base a ciò che
pareva manifestare la
volontà degli dèi.
Quindi, in modo
anomalo, i libri non vengono consultati per espiare dei prodigia, ma
per verificare il favore divino verso una iniziativa collettiva. (pag 50).
Di una quarta
consultazione, nel 461 a.C. , ce ne danno notizia Livio e Dionigi. In
quell’anno venne riproposta al Senato dal tribuno della plebe Tarentillo Harsa
che proponeva l’elezione di cinque magistrati che avrebbero dovuto limitare il
potere consolare che era in mano ai patrizi.
Il ricorso ai libri
viene causato da diversi fenomeni: cielo infuocato, un terremoto, una vacca
parlante e soprattutto una pioggia di carne che non imputridisce. Dionigi
aggiunge anche apparizioni di spettri e
voci. I duumviri, in questo episodio, anziché indicare un piaculum (un’azione cultuale),
danno una predizione ed un consiglio.
Il problema era di
evitare la discordia e i disordini interni, già verificatisi l’anno precedente;
i tribuni della plebe però non accetteranno questo responso che ammoniva di
astenersi dalle sedizioni.
Il racconto di questi
anni mette in luce la volontà della classe dirigente, il patriziato, di
controllare il comportamento della parte politica rappresentata dai plebei,
attraverso una manipolazione religiosa: in luogo di un piaculm viene proposto
infatti un ‘comportamento’ e specificatamente un comportamento politico, quello
diastenersi dalle sedizioni per non turbare la pax deorum. A questo punto
risulta decisivo il rifiuto della plebe di seguire l’indicazione politica data da un autorita religiosa.
Questo atteggiamento dei tribuni si inquadra in quel processo della mentalità
romana per cui si avrà una distinzione tra il civico e il religioso.
Successivamente si darà il via al processo che porterà al
rifiuto dell’elemento oracolare inteso come autorità in grado di dettare scelte
politiche e che sarà coronato nel 367
a.C. con la creazione dei decemviri
sacris faciundi,
nuovo collegio composto per metà da plebei e per metà da patrizi.
La quinta consultazione
si colloca nel 436 a.C. Sono ricordati molti prodigi per
quest’anno, per cui in
ultimo si ricorre ai libri, che indicano di eseguire una
obsecratio , ovvero
una particolare forma di supplicatio,
o ‘preghiera’ pubblica, manifestazione
di venerazione
collettiva indirizzata agli dei, a cui partecipava tutta la comunità. Il
termine
obsecratio indica in particolare una supplicatio volta a stornare una
calamità.
Livio scrive per
l’anno in questione che, nonostante i tentativi di sobillazione di
uno dei tribuni, tale
Spurio Melio, nella città si mantenne una situazione di tranquillità e di
concordia tra le classi. Il tribuno che cerca inutilmente di fomentare tumulti,
è omonimo di un altro
Spurio Melio, un
cavaliere che tre anni prima era stato causa di gravi disordini
nella città; in
occasione di una carestia, che affamava in particolare i più umili,
aveva fatto incetta di
grano in Etruria e lo aveva elargito alla plebe. Era stato
pertanto accusato dal
prefetto dell’annona, Minucio, di sobillare la plebe al
fine di restaurare
l’ordine monarchico (de
regno agitare); chiamato dal
dittatore a rispondere
alle accuse, si era rifiutato di seguire il magister equitum Servilio Aala, che perciò lo
aveva ucciso sul posto .
Nel 439 a.C. vi era
dunque stata una situazione di discordia interna; una crisi he aveva avuto come
causa prima la carestia che aveva esasperato gli animi della plebe.
Le carestie potevano
essere considerati alla stregua di prodigia, come anche i tumulta. Il senato riconosce come monstrum, non naturale,
l’aspirazione alla monarchia di Spurio Melio: l’avvento di Spurio Melio era
stato reso possibile in quanto nel444 a.C. la carestia e le sedizioni non erano
stati considerati prodigia
e dunque ‘non espiati’; questo aveva permesso all’eventum di verificarsi, Nel
436 a.C. la comparsa del tribuno Spurio Melio, che si presenta come un “doppio”
dell’ omonimo di tre anni prima, rischia di replicare la stessa situazione; in
realtà ciò non avviene, poiché i suoi tentativi non vengono considerati dal
punto di vista politico. In tale situazione di concordia, tuttavia viene
comunque organizzata l’obsecratio
come remedium,
a compensare la mancata
espiazione della carestia del 444 a.C.
Per il sesto ed ultimo
episodio del quinto secolo abbiamo la testimonianza di Livio. Nell’ anno 433 a.C., e’ un’epidemia
a richiedere la consultazione. Furono gli stessi duumviri a compiere tali atti
cultuali, come più
volte sarà registrato nel III secolo. Nello stesso anno Livio scrive che venne
anche votato un tempio ad Apollo.
A Roma, il dio era
venerato soprattutto nelle sue qualita’ di guaritore e vincitore,
caratteristiche riassunte nel concetto latino di sospitalis,
“salvatore” dalle calamità della peste e della guerra. Il dio era chiamato a
garantire non solo la ‘salvezza’ dai mali della peste, ma anche la ‘salus’ della repubblica,
preservandola dai mali
della discordia.
Ci vediamo il mese
prossimo con le consultazioni sibilline del IV secolo a.C., vi ricordo che tali informazioni sono tratte
dalla tesi di laurea di Sara Fattor pubblicata online e che vi invito a
consultare per ulteriori approfondimenti.
Alla prossima!
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