RACCONTO
IL QUADRO di PAOLA LEONCINI
I racconti gratis di IUF-
Decameron edition #2
Cari lettori, i racconti gratuiti su IUF proseguono con Paola Leoncini, che ci offre "Il quadro". Enjoy!
La
festa era cominciata.
L'ampio
salone della villa dalle pareti chiare, istoriato agli angoli, era piuttosto
gremito di gente.
Il
party non aveva registrato il pieno ma lo spazio per ballare, fra i tavoli
disposti a ferro di cavallo attorno alla pista, non era poi enorme. Comunque,
senza lanciarsi in troppe giravolte acrobatiche, si poteva azzardare anche un
rock 'n roll. Forse, l'unico impedimento sarebbero stati proprio i costumi indossati
dai partecipanti alla festa.
C'era
di tutto: vampiri, scheletri, licantropi, zombies, vari personaggi tivù, e gli
immancabili fantasmi, tutto sommato, la maschera più semplice da realizzarsi,
costituita da un lenzuolo bianco in mezzo al quale si praticano due buchi per
poter vedere gli stipiti delle porte, e le porte per non sbatterci contro, chi
ti gira intorno e quali piedi rischi di pestare mentre balli.
Tutto
si stava svolgendo secondo il copione previsto per la fatidica sera di
Halloween, il 31 di ottobre di ogni anno a partire da dieci anni addietro;
inoltre, per completare il quadro, la cornice era perfetta: una bella, grande
villa rinascimentale, alle porte di Roma, proprietà della famiglia de
Magistris, il cui blasone nobiliare sembrava risalire giusto ai tempi di Giulio
II^ della Rovere, il papa guerriero. Ma era solo una coincidenza. O no?
La
festa era chiusa e la partecipazione era permessa solo su invito, tuttavia, i
presenti non erano obbligati ad essere nobili; l'importante è che fossero
ricchi. E lo erano.
Molti
di essi s'incontravano solo in quell'occasione, essendo tutto il resto
dell'anno in giro per il mondo per lavoro o per diporto, in ogni caso impegnati
in varie attività lavorative o meno.
Ernesto,
cinquant'anni ben portati, architetto, sotto il costume da lupo mannaro faticò
a riconoscere Antonietta, trentotto anni, truccata all'inverosimile da Strega
di Biancaneve invecchiata, ma quando accadde, i due si abbracciarono
calorosamente dopo un anno di lontananza.
E'
sempre bello rivedere gli amici a distanza di mesi.
Un
inserviente in livrea entrò nella sala e, scampanellando, annunciò la cena
imminente.
Paolo,
ingegnere, quarantacinque anni, di statura non elevata e mingherlino, annunciò
a sua volta che, prima di sedersi a tavola ed abbuffarsi, doveva andare in
bagno ad .... alleggerirsi.
"Tu
capisci che il mio pasto sarà ... abbondante" disse, rivolgendosi a
Sandra, alta, magra, eterea e cadaverica, stretta nell'abito nero fasciante di
Morticia Addams.
"Certo.
- convenne, parlando con la calma distaccata e sofisticata del personaggio,
guardando divertita Paolo, realmente spaventoso nel suo azzeccato look
rivoltante di zombie - Capisco. Ti accompagno".
Sandra
era la sorella della proprietaria, conosceva la casa come le sue tasche e lo
accompagnò.
A
metà del corridoio, Paolo si bloccò, colpito da un quadro, incastrato fra una
lunga e stretta libreria di noce scuro ed un massiccio pendolo, raffigurante un
paesaggio desolato e scuro in fondo, rischiarato da roghi fra le cui fiamme,
poveretti condannati a morte si contorcevano, coi volti sfigurati dalla
sofferenza e del terrore. Attorno alle pire, la luce ambrata delle fiamme sfiorava
di striscio volti e profili degli astanti, radunati attorno ai patiboli,
alcuni, in apparenza quasi eccitati a vedere quei corpi orrendamente consumati
dal fuoco.
Paolo
rabbrividì anche a voce.
Quel
dipinto era inquietante perché pareva emanare vita propria.
Sperò
di sbagliarsi ma ebbe l'impressione che uno di quei volti si fosse girato e lo
stesse guardando con occhi pieni di crudele trionfo.
Lo
stimolo di andare in bagno aumentò e Paolo corse verso la sua destinazione,
seguito da Sandra che ridacchiava, divertita.
Paolo
non lo era per niente.
Uscito
dal bagno, avrebbe volentieri cambiato strada ma il percorso per tornare in
sala da pranzo era quello e non c'era altra scelta.
"Conosci,
per caso, la storia di quel quadro?" chiese l'uomo a Sandra.
Sandra
alzò le spalle con nonchalance, più per restare nei panni del controllato
personaggio.
"Una
condanna a morte collettiva, credo. - rispose - L'Inquisizione non era usata
solo per la caccia alle streghe".
Paolo
annuì.
"Anche
per levarsi di torno chi la pensava diversamente dal Papa" ipotizzò.
"Anche"
confermò Sandra, sempre scherzosamente altezzosa.
In
quel momento, nel corridoio comparve pure Alberta, la sorella di Sandra, ovvero
la proprietaria della villa la quale, eccitata per l'annuncio della cena,
invitò i due a sbrigarsi. Poi gettò una fuggevole occhiata al quadro e Paolo
scorse nei suoi occhi quasi neri un'espressione di paura.
"Si
può togliere quel quadro, Sandra?".
"Si.
- rispose la donna, sempre olimpica - Ma non stasera. S'intona con la
festa".
Paolo
vide le due donne scambiarsi occhiate particolari. Alberta era tesa, Sandra,
pacifica.
Una
Morticia perfetta, amante del lugubre.
Prima
di allontanarsi, Paolo dette un'ultima occhiata al dipinto. E scoprì che
sarebbe stato meglio non farlo. In caratteri antichi, in basso a destra, vide
scritta una data: 31 ottobre 1515.
Il
brivido che percorse la sua schiena assomigliò vagamente ad una scarica
elettrica.
Insieme,
tutti e tre tornarono nella sala da pranzo dove, dopo poco cominciarono ad
entrare i camerieri con i vassoi e le pietanze.
Dimenticandosi
subito del quadro e calandosi appieno nel suo personaggio, vedendo su un
vassoio d'argento campeggiare un enorme tacchino ben cotto, Paolo finse di
lanciarsi su di esso, intenzionato a divorarlo a morsi. Poi, sempre scherzando,
si girò e cominciò la farsa dei morsi agli invitati, agendo da vero zombie
affamato di carne umana.
Strillando
e ridendo, i partecipanti scansavano Paolo, correndo in qua e in là per la sala
finché Alberta non impose, con cortesia e fermezza, di prendere i propri posti
ai tavoli.
E
si dette il via all'abbuffata.
Dopo
cena, iniziò il sabba delle danze.
E
fu buffo vedere Egisto, quarant'anni, avvocato, alto, diafano e compassato
Dracula, dimenarsi in un indiavolato twist alla John Travolta di Pulp Fiction,
di fronte ad Evelina, frizzante sua coetanea, professoressa di matematica alle
medie, fasciata in una tuta nera con sopra dipinto uno scheletro.
Malgrado
il frastuono della musica diffusa a palla nel locale, i ballerini riuscirono a
scambiarsi qualche parola.
"Avete
visto il quadro nel corridoio?" esordì Paolo a cui era tornato
d'improvviso in mente la tela, mentre si scatenava in una street dance davanti
ad Antonietta e altri invitati.
"Quale
quadro?" chiese Antonietta.
"Quello
dei roghi" rispose Paolo, risoluto.
"Ah
si! - fece Sergio, dentro la pesante tuta pelosa di Chewbecca - Quello".
"Nessuno
sa qualcosa di quel quadro?" ritornò Paolo.
"Lo
stile sembra quello di Caravaggio. - s'intromise Egisto - Ma chiaramente non è
lui. Potrebbe essere di qualche suo allievo, o emulo, non certo molto abile
nemmeno a riprodurne il tocco alla lontana".
"Beh,
questo è sicuro. - commentò Paolo - Però mi ha messo i brividi. Nonostante ci
siano i roghi. -
I
suoi interlocutori risero - Soprattutto la data" terminò Paolo, di colpo
diventato serio.
"Perché?
- fece Antonietta - che data è?"
Paolo
la rivelò.
"Oh,
cavolo!" esclamò Egisto.
"Stasera,
cinquecento anni fa" osservò Antonietta.
"L'avranno
fatto apposta?" si chiese Paolo.
"Non
lo so. - rispose Egisto - Se è stata un'idea di Sandra, non mi meraviglierei.
E' una burlona, ma Alberta no. Lei è seria. Non farebbe una cosa del
genere".
"Ma
loro sanno di quel quadro?" domandò Antonietta.
"Non
ne ho idea. - rispose Egisto - Credo che quel quadro faccia parte del loro
patrimonio ma è uno di quegli oggetti che si sa di possedere, al quale, però,
non si dà mai grande importanza. E' una specie di istituzione domestica che si
accetta per convenzione".
Per
coincidenza, in quel momento, al gruppetto si unì Sandra che raccolse le ultime
battute.
"Il
dipinto risale effettivamente al Cinquecento, - si adoperò subito ad informare
la donna - ma l'autore è un emerito sconosciuto. Forse, solo un pittore di
strada".
"Che
quella sera del trentuno ottobre millecinquecentoquindici si era trovato,
guarda caso, proprio ad assistere all'esecuzione di poveracci, destinati a
finire cotti alla brace chissà per quali colpe".
Anche
agli altri conversatori vennero i brividi.
Naturalmente,
fra le varie maschere c'erano anche i fantasmi.
Nessuno
però fece caso che sotto a qualche lenzuolo non c'era un corpo solido.
Nella
sala la temperatura si abbassò, ma il calore provocato dall'intensità del ritmo
nei balli, non permise ai danzanti di avvedersene.
Verso
mezzanotte toccò ad Aroldo, medico, cinquantacinque anni nascosti dietro alla
maschera di cuoio di Hannibal Lecter, ad aver bisogno della toilette, ma lui
non ebbe necessità di essere accompagnato, essendo il medico della famiglia de
Magistris, dunque, profondo conoscitore di quella casa.
Anche
Aroldo percorse il corridoio che in quel momento era avvolto in una insolita
penombra.
Passò
davanti al quadro ma, a differenza di Paolo e degli altri invitati, gli lanciò
un'occhiata priva d'interesse e andò oltre.
Tuttavia,
con la coda dell'occhio, dietro di lui captò qualcosa e le sue narici
percepirono un leggero olezzo di bruciato. Si girò di scatto ma alle sue spalle
tutto era tranquillo. Si recò in bagno avvertendo una singolare, sinistra
inquietudine.
Al
ritorno, si fermò davanti al dipinto e notò un dettaglio che non aveva mai
scorto prima e che lo fece sussultare. Osservando meglio le figure riunite
intorno alle pire, scoprì che alcune di esse assomigliavano a qualche presente
alla festa. Anche lui vide poi la data.
"Mio
Dio!" esclamò a bassa voce.
Si
voltò verso il fondo del corridoio dove c'era la porta che introduceva nella
sala.
Dove
avrebbe dovuto esserci la porta che
introduceva alla sala.
Che
invece era scomparsa dietro uno spesso velo grigio semovente, fluttuante,
dentro il quale nuotavano ovali neri, minacciosi, terrificanti, che parevano
trafiggerlo con sguardi in cui terrore e odio confluivano tangibilmente.
Fece per correre verso la porta ad avvertire
gli ospiti ma dal quadro fuoriuscì una fiammata che lo avvolse, trasformandolo
in una torcia umana.
Le
sue urla furono sentite attraverso le pareti.
Gradualmente,
ma con una certa velocità, la casa precipitò nelle tenebre ed i fantasmi reali
si distinsero nel buio, chiari, luminosi, sinistri, mortali, circondando gli
invitati e bloccandoli nella sala le cui uscite si chiusero automaticamente
senza intervento umano.
Poi,
i fantasmi presero fuoco, volgendo in torce che urlarono, oscillando, sfiorando con lingue rosse e tizzoni
qualunque cosa fosse infiammabile, invadendo in breve tempo tutto l'ambiente.
31
ottobre 1515
Il
piccolo Giuseppe, di dieci mesi, era morto fra le braccia di sua madre,
Beatrice, disperata.
Ufficialmente,
la morte era stata provocata da polmonite. Facile morire di polmonite a quei
tempi.
Riscaldamento
ed igiene difettavano pesantemente nelle misere abitazioni del popolo di Roma,
ma di qualsiasi altra città.
In
quel caso però, il piccolo Giuseppe non era nato in un tugurio bensì nella
grande stanza da letto, riccamente decorata, di Palazzo de Magistris, una bella
costruzione situata nella zona corrispondente all'attuale Piazza Bologna, quasi
al centro della Capitale. E Beatrice, la mamma del piccino, quando lui si
ammalò, aveva convocato i migliori medici nella speranza che lo guarissero. Non
c'erano riusciti, in compenso, alcuni membri della servitù erano intervenuti
con erbe officinali. Nemmeno quelle avevano sortito risultati e la famiglia era
giunta all'errata conclusione che quelle erbe fossero velenose, coltivate da
persone praticanti la stregoneria, le quali furono immediatamente arrestate,
schiacciate da quell'infamante accusa, con le conseguenze ben note a tutti.
Finite nelle infernali maglie del Tribunale dell'Inquisizione, dopo estenuanti
supplizi, uomini e donne furono legati ai ceppi, sulle pire allestite al centro
della piazza più vicine e lasciati ardere vivi davanti ai componenti della
famiglia che assistettero allo spettacolo con sadica soddisfazione, inneggiando
ad una morte dei condannati, lenta e atroce.
Un
anonimo imbratta-tele aveva riprodotto la scena e più in là negli anni, un
esponente della nobile famiglia aveva acquistato la tela nella bottega di un
rigattiere, per pochi soldi. Il quadro poi, era stato sconfinato in fondo ad
una cantina fino a che non era stato ritrovato, quasi mezzo millennio dopo,
dalle due sorelle de Magistris, solo che Alberta non era mai stata molto
entusiasta di esporlo fra le mura di casa, mentre Sandra, più scanzonata e
scettica nei confronti del sovrannaturale, non aveva trovato nulla di strano e
disdicevole nell'includerlo fra i dipinti che riempivano le pareti della villa.
Chi
avrebbe mai detto che cinquecento anni dopo, le vittime di quell'orribile
episodio avrebbero consumato la loro vendetta all'insaputa di molti componenti
del casato, forse ignari del suo passato poco glorioso?
Forse.
Paola Leoncini è nata a Roma un po' di tempo fa, e si è rivelata un soggetto difficile sin dai primi vagiti!
Vive a Nettuno (Roma), ama la fotografia, il mare, la bicicletta e la natura, interessi che l'hanno portata a impegnarsi in prima linea per l'ambiente tramite diverse associazioni territoriali e nazionali.
Insegnante di Lingue, è anche traduttrice, editor e autrice di racconti.
Prossimo appuntamento: il 3 aprile. Vi aspettiamo!
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