venerdì 3 aprile 2020


RACCONTO

STEAMFIELD PARK di MONICA SERRA



I racconti di IUF- 
Decameron edition #3

Cari amici, oggi a tenerci compagnia c'è Monica Serra col suo racconto steampunk Steamfield Park, omaggio a Jane Austen.
Il racconto sarà diviso in due parti.
Buona lettura!

Steamfield Park
Tribute to Jane Austen’s
Mansfield Park
(1814)

A steampunk novel by
Monica Serra

Steamfield Park, 1808
Fanny si era chiesta molte volte quale fosse davvero il suo posto a Steamfield Park. La residenza degli zii, che un tempo si chiamava Mansfield Park, aveva cambiato nome quando lo zio Thomas, Sir Thomas Bertram, era entrato nell’Ordine dei Cavalieri del Vapore e aveva intrapreso affari con l’America, in onore delle nuove tecnologie che si andavano diffondendo in Inghilterra. Quel luogo non aveva mai smesso di metterle soggezione e anche dopo tanti anni il fasto della casa la sbalordiva ancora. Le stanze erano troppo grandi e lei vi si aggirava furtiva, con la paura di rompere le cose che toccava. Proprio come quando era bambina. Da allora, da quella bimba timida e discreta, il suo carattere non era mutato e tutti nella grande villa amavano la compostezza e il senso del dovere che appartenevano alla donna che era diventata. Fanny, però, si sentiva prigioniera in quel ruolo di parente povera e virtuosa, le pareva di soffocare nella rettitudine che tutti si attendevano da lei, soprattutto ora che Edmund era lontano.
La cena che Lady Bertram aveva organizzato per festeggiare il ritorno di Sir Thomas dal suo ultimo viaggio d’affari si era appena conclusa. Fanny se ne stava sotto il portico, al riparo dalla pioggia, e osservava signore eleganti e signori con la tuba che si accingevano a tornare alle proprie case. Si udiva un cicaleccio in sottofondo, mentre i lampioni delle carrozze, puntini scintillanti nell’umidità, si allontanavano a passo lento dalla villa.
Una, più rumorosa delle altre, sbuffava circondata da una nube di fumo biancastro. Era la carrozza a vapore dei Crawford, eccentrica e vistosa come i suoi proprietari. Henry Crawford era appassionato di diavolerie meccaniche. Si era procurato da non molto quel marchingegno a vapore, simile a un cocchio, e non perdeva occasione per farne mostra. Una parte del parco antistante alla residenza dei Crawford era addirittura stata pavimentata per far posto a una piazzola di sosta riservata al bizzarro veicolo, mezza Londra ne parlava.
Ma lì, a Steamfield Park, lontano dalla città, Fanny e la sua famiglia restavano legati alle tradizioni della placida campagna inglese, nonostante il nuovo nome della tenuta. Tutti loro, dallo zio Thomas a Edmund, disapprovavano l’eccentricità dei Crawford.
«Perché ve ne state sotto la pioggia?­». Una voce profonda che non riconobbe emerse dal buio alle sue spalle. «Vostro zio si arrabbierà se vi ammalate». Fanny si volse ma nella penombra delle torce non vide altro che il lampo di un sorriso. «Ed io ne sarò addolorato».
Ah, sì, ora sì che lo riconosceva. Sentì le guance farsi di brace e il cuore accelerare i battiti. Non le piaceva Henry Crawford. I suoi modi erano eccessivi e non sopportava quel suo corteggiare in modo spudorato tutte le donne che gli capitavano a tiro. Tuttavia, era innegabile che quel mascalzone avesse un fascino irresistibile. Riportò lo sguardo sul parco avvolto dalle ombre notturne per recuperare il distacco che tutti, compreso Henry Crawford, le attribuivano. L’alone dei lampioni si rifletteva sul selciato lucido e la pioggia produceva un ticchettio regolare nella notte, scomparsi gli ospiti, che si era fatta silenziosa.
«Siete gentile» replicò. «Ma non dovete darvi pena per me.»
Il veicolo di Crawford, fermo poco più in là, emise un sonoro sbuffo di vapore.
«La vostra carrozza vi attende, Mr Crawford» disse Fanny, con la consueta dolcezza.
Henry rimase in silenzio. La pioggia si fece più intensa, scrosciando sulle cime degli alberi e impantanando il piazzale. Finalmente Fanny lo guardò e solo allora lui fece un inchino, indossò il cappello e se ne andò.

Fanny rientrò in casa in preda allo strano turbamento che Henry Crawford le causava ogni volta. Salì le scale e percorse il lungo corridoio sul quale affacciavano le stanze dei suoi cugini. Passò davanti alla camera di Edmund e non poté fare a meno di pensare a lui. Chissà cosa faceva in quel momento, a Londra. Il tentativo di immaginarlo, serio e posato com’era, nel bel mezzo della mondanità cittadina le strappò un sorriso. Subito dopo, però, una fitta di gelosia le strinse il cuore. Anche Mary Crawford si trovava a Londra, e di sicuro era presente ovunque andasse suo cugino. La signorina non aveva mai nascosto di avere un debole per Ed, anche se lui, almeno finché era stato a Steamfield Park, la ignorava con fredda eleganza.
Fanny raggiunse la sua stanza e si chiuse piano la porta alle spalle. Si svestì e indossò una calda vestaglia di lana poi, sciolti i capelli, si accucciò dinanzi al camino a spazzolarli e lasciò che le fiamme si esaurissero bruciando le sue fantasticherie notturne.

Sir Thomas Bertram era convinto che suo figlio Tom fosse soltanto un ubriacone col vizio del gioco, ma Edmund sapeva che suo fratello era molto più di quanto desse a vedere. Tom aveva talento e possedeva quel pizzico di follia che contraddistingue le persone geniali. Gli aveva scritto qualche giorno prima, in preda, a suo dire, a un’ispirazione scientifica fuori dal comune, pregandolo di tornare a Steamfield Park perché voleva mostrargli l’invenzione che avrebbe rivoluzionato l’Ordine dei Cavalieri del Vapore e molto altro. Non aveva aggiunto dettagli, così Edmund si era sentito in dovere di partire subito senza avere nemmeno il tempo di annunciare il suo arrivo.
La carrozza procedeva senza fretta verso Steamfield Park. La strada era fangosa per la pioggia abbondante caduta durante la notte e un cielo grigio incombeva sulla campagna minacciando nuovi temporali.
Il parco si estendeva per cinque miglia quadrate e ci misero un po’ a giungere in vista della grande e spaziosa dimora dei Bertram, nascosta tra gli alberi. Edmund assaporava la bellezza del paesaggio, quando un rumore di ferraglia spezzò il silenzio umido.  Non fece in tempo a sporgersi dal finestrino, che la carrozza sbandò di lato e si arrestò all’improvviso sul ciglio della strada. I cavalli scalciarono, nervosi e impauriti, e il postiglione faticò a tenerli fermi.
Una bizzarra vettura, che aveva le sembianze di un cocchio, si affiancò sollevando fango e producendo nubi di fumo e cigolii metallici, avanzando sul sentiero in direzione di Steamfield Park.
Edmund ebbe una fugace visione dell’uomo che sedeva impettito alla guida, indossando bizzarri occhiali di pelle e vetro, le code del cappotto come ali nel vento. Henry Crawford passò oltre, senza degnarlo di uno sguardo, lasciandosi dietro una scia biancastra e dall’odore pungente.
Ci volle un po’ perché il cocchiere riuscisse a calmare i cavalli e la carrozza potesse riprendere la strada. Edmund, in preda al malumore, si augurò di non trovare Crawford a Steamfield. Il giovanotto gli era cordialmente antipatico, almeno quanto Mary Crawford, la sua graziosa sorella, lo affascinava. Non sapeva da dove gli venisse quell’avversione per Henry Crawford. O forse sì, a ben pensarci. Detestava la sua dissolutezza. Non approvava i suoi modi. Ma soprattutto, non sopportava che gironzolasse attorno a Fanny.

Come ogni pomeriggio, Fanny sedeva nella biblioteca, a leggere davanti al camino acceso. Un boato proveniente dall’esterno la strappò alla lettura. Balzò in piedi, spaventata, lasciò cadere il libro sulla poltrona e corse alla finestra. Sotto i suoi occhi sbalorditi, la carrozza meccanica di Henry Crawford si arrestò tra sbuffi di vapore e sinistri cigolii proprio davanti alla vetrata, nel bel mezzo della terrazza che affacciava sui giardini. Il giovanotto scese dal veicolo con un agile balzo e, scorgendola dietro il vetro, si tolse i goggles e la salutò con un galante inchino.
Fanny recuperò la padronanza dei suoi nervi, per quanto le fu possibile, e rispose con un freddo cenno del capo. Guardò l’inatteso visitatore dirigersi verso l’entrata e attese che il valletto lo annunciasse.
«Signorina Price» la salutò Crawford entrando, sfoderando un sorriso ammaliante e le solite maniere impeccabili. «Sono lieto di vedervi».
«Come al solito, avete esagerato» replicò lei, fingendo un’indignazione a cui nessuno, tantomeno Henry Crawford, avrebbe creduto. «Tutta la contea vi avrà visto arrivare a Steamfield senza alcuna riservatezza!»
«Non avrei fatto nulla di meno, per voi. Dovreste saperlo».
Fanny lo fulminò con lo sguardo, ma lui non si scompose.
«Fanny, Fanny» sospirò, scrollando il capo. «Invece di quei funesti lampi d’ira vorrei accendere nei vostri occhi la stessa luce che vi vedo quando parlate del vostro tedioso cugino».
Lei non riuscì a trattenere un sussulto e Crawford se ne accorse.
«Ah, a quanto pare ho colpito nel segno». Un sorriso smaliziato gli piegò le labbra mentre muoveva qualche passo verso di lei. «Tuttavia, se me ne darete modo, scaccerò dal vostro cuore Mr. Bertram e vi giuro che tra qualche tempo non ricorderete neanche di essere stata infatuata di lui».
Fanny lo allontanò, improvvisamente risentita.
«I miei sentimenti per Edmund Bertram non sono affar vostro, signor Crawford. Che cosa siete venuto a fare a Steamfield Park? Non ricordo di avervi invitato, oggi».
Giocherellando con i goggles, Henry continuava a fissarla con sguardo insolente.
«Non l’avete fatto. Ma sarebbe stato imperdonabile da parte mia trascurare i doveri di buon vicinato». Tentò ancora di avvicinarsi, ma Fanny lo tenne a distanza.
«Basta così». A dispetto del brivido che la scosse, la sua voce assunse un tono glaciale.
Henry ignorò il suo rifiuto e si piegò verso di lei, come per baciarla.
In quel momento, un trafelato Edmund irruppe nella biblioteca.
Ci fu un lungo e imbarazzato silenzio. Henry Crawford si girò con lentezza, mentre una luce stizzita gli lampeggiava nello sguardo. Fanny, turbata, si sentì avvampare e fece un passo indietro.
«Che cosa sta succedendo qui?». Bertram gettò mantello, copricapo e guanti sul divano. La sua ira repressa quasi sfrigolò, come l’elettricità che si sprigiona prima del fulmine, saturando la stanza.
«Edmund…»
Crawford non le diede il tempo di parlare e si fece avanti con la solita faccia tosta.
«Mr Bertram!» esclamò in tono esageratamente cordiale, tendendo la mano verso il nuovo arrivato. «Non vi aspettavamo di ritorno così presto. Forse l’aria della città non era di vostro gradimento?».
Lo sguardo di Edmund si rabbuiò, nuvole nere a coprire i fulmini.
«Vedo, Mr Crawford» rispose con voce grave e senza ricambiare la stretta, «che invece a voi sembra piacere molto Steamfield Park».
Henry incassò con eleganza e ritirò la mano, poi si volse verso Fanny.
«Per oggi la mia visita di cortesia termina qui». Prese tra le sue la mano della ragazza e vi depose un bacio leggero. «Arrivederci, Miss Price».
Lasciò la stanza con l’impeto di una folata di vento, mentre Edmund e Fanny, in piedi l’uno di fronte all’altra, si guardavano in silenzio.
Alcuni istanti dopo, la carrozza meccanica di Crawford lasciò Steamfield Park sferragliando tra gli alberi.

Monica Serra

 -FINE PARTE 1-

SECONDA PARTE: DOMENICA 5 APRILE 2020

Non perdetela!

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