RACCONTO
STEAMFIELD PARK di MONICA SERRA
I racconti di IUF-
Decameron edition #3
Cari amici, oggi a tenerci compagnia c'è Monica Serra col suo racconto steampunk Steamfield Park, omaggio a Jane Austen.
Il racconto sarà diviso in due parti.
Buona lettura!
Steamfield Park
Tribute to Jane
Austen’s
Mansfield Park
(1814)
A steampunk novel by
Monica Serra
Steamfield
Park, 1808
Fanny si era chiesta molte volte quale fosse davvero il
suo posto a Steamfield Park. La residenza degli zii, che un tempo si chiamava
Mansfield Park, aveva cambiato nome quando lo zio Thomas, Sir Thomas Bertram,
era entrato nell’Ordine dei Cavalieri del Vapore e aveva intrapreso affari con
l’America, in onore delle nuove tecnologie che si andavano diffondendo in
Inghilterra. Quel luogo non aveva mai smesso di metterle soggezione e anche dopo
tanti anni il fasto della casa la sbalordiva ancora. Le stanze erano troppo
grandi e lei vi si aggirava furtiva, con la paura di rompere le cose che
toccava. Proprio come quando era bambina. Da allora, da quella bimba timida e
discreta, il suo carattere non era mutato e tutti nella grande villa amavano la
compostezza e il senso del dovere che appartenevano alla donna che era
diventata. Fanny, però, si sentiva prigioniera in quel ruolo di parente povera
e virtuosa, le pareva di soffocare nella rettitudine che tutti si attendevano
da lei, soprattutto ora che Edmund era lontano.
La cena che Lady Bertram aveva organizzato per
festeggiare il ritorno di Sir Thomas dal suo ultimo viaggio d’affari si era
appena conclusa. Fanny se ne stava sotto il portico, al riparo dalla pioggia, e
osservava signore eleganti e signori con la tuba che si accingevano a tornare
alle proprie case. Si udiva un cicaleccio in sottofondo, mentre i lampioni
delle carrozze, puntini scintillanti nell’umidità, si allontanavano a passo
lento dalla villa.
Una, più rumorosa delle altre, sbuffava circondata da una
nube di fumo biancastro. Era la carrozza a vapore dei Crawford, eccentrica e
vistosa come i suoi proprietari. Henry Crawford era appassionato di diavolerie
meccaniche. Si era procurato da non molto quel marchingegno a vapore, simile a
un cocchio, e non perdeva occasione per farne mostra. Una parte del parco antistante
alla residenza dei Crawford era addirittura stata pavimentata per far posto a una
piazzola di sosta riservata al bizzarro veicolo, mezza Londra ne parlava.
Ma lì, a Steamfield Park, lontano dalla città, Fanny e la
sua famiglia restavano legati alle tradizioni della placida campagna inglese,
nonostante il nuovo nome della tenuta. Tutti loro, dallo zio Thomas a Edmund, disapprovavano
l’eccentricità dei Crawford.
«Perché ve ne state sotto la pioggia?». Una voce
profonda che non riconobbe emerse dal buio alle sue spalle. «Vostro zio si
arrabbierà se vi ammalate». Fanny si volse ma nella penombra delle torce non
vide altro che il lampo di un sorriso. «Ed io ne sarò addolorato».
Ah, sì, ora sì che lo riconosceva. Sentì le guance farsi
di brace e il cuore accelerare i battiti. Non le piaceva Henry Crawford. I suoi
modi erano eccessivi e non sopportava quel suo corteggiare in modo spudorato
tutte le donne che gli capitavano a tiro. Tuttavia, era innegabile che quel
mascalzone avesse un fascino irresistibile. Riportò lo sguardo sul parco
avvolto dalle ombre notturne per recuperare il distacco che tutti, compreso
Henry Crawford, le attribuivano. L’alone dei lampioni si rifletteva sul
selciato lucido e la pioggia produceva un ticchettio regolare nella notte,
scomparsi gli ospiti, che si era fatta silenziosa.
«Siete gentile» replicò. «Ma non dovete darvi pena per
me.»
Il veicolo di Crawford, fermo poco più in là, emise un
sonoro sbuffo di vapore.
«La vostra carrozza vi attende, Mr Crawford» disse Fanny,
con la consueta dolcezza.
Henry rimase in silenzio. La pioggia si fece più intensa,
scrosciando sulle cime degli alberi e impantanando il piazzale. Finalmente
Fanny lo guardò e solo allora lui fece un inchino, indossò il cappello e se ne
andò.
Fanny rientrò in casa in preda allo strano turbamento che
Henry Crawford le causava ogni volta. Salì le scale e percorse il lungo
corridoio sul quale affacciavano le stanze dei suoi cugini. Passò davanti alla
camera di Edmund e non poté fare a meno di pensare a lui. Chissà cosa faceva in
quel momento, a Londra. Il tentativo di immaginarlo, serio e posato com’era,
nel bel mezzo della mondanità cittadina le strappò un sorriso. Subito dopo,
però, una fitta di gelosia le strinse il cuore. Anche Mary Crawford si trovava
a Londra, e di sicuro era presente ovunque andasse suo cugino. La signorina non
aveva mai nascosto di avere un debole per Ed, anche se lui, almeno finché era
stato a Steamfield Park, la ignorava con fredda eleganza.
Fanny raggiunse la sua stanza e si chiuse piano la porta
alle spalle. Si svestì e indossò una calda vestaglia di lana poi, sciolti i
capelli, si accucciò dinanzi al camino a spazzolarli e lasciò che le fiamme si
esaurissero bruciando le sue fantasticherie notturne.
Sir Thomas Bertram era convinto che suo figlio Tom fosse
soltanto un ubriacone col vizio del gioco, ma Edmund sapeva che suo fratello
era molto più di quanto desse a vedere. Tom aveva talento e possedeva quel
pizzico di follia che contraddistingue le persone geniali. Gli aveva scritto
qualche giorno prima, in preda, a suo dire, a un’ispirazione scientifica fuori
dal comune, pregandolo di tornare a Steamfield Park perché voleva mostrargli
l’invenzione che avrebbe rivoluzionato l’Ordine dei Cavalieri del Vapore e
molto altro. Non aveva aggiunto dettagli, così Edmund si era sentito in dovere
di partire subito senza avere nemmeno il tempo di annunciare il suo arrivo.
La carrozza procedeva senza fretta verso Steamfield Park.
La strada era fangosa per la pioggia abbondante caduta durante la notte e un
cielo grigio incombeva sulla campagna minacciando nuovi temporali.
Il parco si estendeva per cinque miglia quadrate e ci
misero un po’ a giungere in vista della grande e spaziosa dimora dei Bertram,
nascosta tra gli alberi. Edmund assaporava la bellezza del paesaggio, quando un
rumore di ferraglia spezzò il silenzio umido.
Non fece in tempo a sporgersi dal finestrino, che la carrozza sbandò di
lato e si arrestò all’improvviso sul ciglio della strada. I cavalli
scalciarono, nervosi e impauriti, e il postiglione faticò a tenerli fermi.
Una bizzarra vettura, che aveva le sembianze di un
cocchio, si affiancò sollevando fango e producendo nubi di fumo e cigolii
metallici, avanzando sul sentiero in direzione di Steamfield Park.
Edmund ebbe una fugace visione dell’uomo che sedeva
impettito alla guida, indossando bizzarri occhiali di pelle e vetro, le code
del cappotto come ali nel vento. Henry Crawford passò oltre, senza degnarlo di
uno sguardo, lasciandosi dietro una scia biancastra e dall’odore pungente.
Ci volle un po’ perché il cocchiere riuscisse a calmare i
cavalli e la carrozza potesse riprendere la strada. Edmund, in preda al
malumore, si augurò di non trovare Crawford a Steamfield. Il giovanotto gli era
cordialmente antipatico, almeno quanto Mary Crawford, la sua graziosa sorella,
lo affascinava. Non sapeva da dove gli venisse quell’avversione per Henry
Crawford. O forse sì, a ben pensarci. Detestava la sua dissolutezza. Non
approvava i suoi modi. Ma soprattutto, non sopportava che gironzolasse attorno
a Fanny.
Come ogni pomeriggio, Fanny sedeva nella biblioteca, a
leggere davanti al camino acceso. Un boato proveniente dall’esterno la strappò
alla lettura. Balzò in piedi, spaventata, lasciò cadere il libro sulla poltrona
e corse alla finestra. Sotto i suoi occhi sbalorditi, la carrozza meccanica di
Henry Crawford si arrestò tra sbuffi di vapore e sinistri cigolii proprio
davanti alla vetrata, nel bel mezzo della terrazza che affacciava sui giardini.
Il giovanotto scese dal veicolo con un agile balzo e, scorgendola dietro il
vetro, si tolse i goggles e la salutò
con un galante inchino.
Fanny recuperò la padronanza dei suoi nervi, per quanto
le fu possibile, e rispose con un freddo cenno del capo. Guardò l’inatteso
visitatore dirigersi verso l’entrata e attese che il valletto lo annunciasse.
«Signorina Price» la salutò Crawford entrando, sfoderando
un sorriso ammaliante e le solite maniere impeccabili. «Sono lieto di vedervi».
«Come al solito, avete esagerato» replicò lei, fingendo
un’indignazione a cui nessuno, tantomeno Henry Crawford, avrebbe creduto.
«Tutta la contea vi avrà visto arrivare a Steamfield senza alcuna
riservatezza!»
«Non avrei fatto nulla di meno, per voi. Dovreste
saperlo».
Fanny lo fulminò con lo sguardo, ma lui non si scompose.
«Fanny, Fanny» sospirò, scrollando il capo. «Invece di
quei funesti lampi d’ira vorrei accendere nei vostri occhi la stessa luce che
vi vedo quando parlate del vostro tedioso cugino».
Lei non riuscì a trattenere un sussulto e Crawford se ne
accorse.
«Ah, a quanto pare ho colpito nel segno». Un sorriso smaliziato
gli piegò le labbra mentre muoveva qualche passo verso di lei. «Tuttavia, se me
ne darete modo, scaccerò dal vostro cuore Mr. Bertram e vi giuro che tra
qualche tempo non ricorderete neanche di essere stata infatuata di lui».
Fanny lo allontanò, improvvisamente risentita.
«I miei sentimenti per Edmund Bertram non sono affar
vostro, signor Crawford. Che cosa siete venuto a fare a Steamfield Park? Non
ricordo di avervi invitato, oggi».
Giocherellando con i goggles,
Henry continuava a fissarla con sguardo insolente.
«Non l’avete fatto. Ma sarebbe stato imperdonabile da
parte mia trascurare i doveri di buon vicinato». Tentò ancora di avvicinarsi,
ma Fanny lo tenne a distanza.
«Basta così». A dispetto del brivido che la scosse, la
sua voce assunse un tono glaciale.
Henry ignorò il suo rifiuto e si piegò verso di lei, come
per baciarla.
In quel momento, un trafelato Edmund irruppe nella
biblioteca.
Ci fu un lungo e imbarazzato silenzio. Henry Crawford si
girò con lentezza, mentre una luce stizzita gli lampeggiava nello sguardo.
Fanny, turbata, si sentì avvampare e fece un passo indietro.
«Che cosa sta succedendo qui?». Bertram gettò mantello,
copricapo e guanti sul divano. La sua ira repressa quasi sfrigolò, come
l’elettricità che si sprigiona prima del fulmine, saturando la stanza.
«Edmund…»
Crawford non le diede il tempo di parlare e si fece
avanti con la solita faccia tosta.
«Mr Bertram!» esclamò in tono esageratamente cordiale,
tendendo la mano verso il nuovo arrivato. «Non vi aspettavamo di ritorno così
presto. Forse l’aria della città non era di vostro gradimento?».
Lo sguardo di Edmund si rabbuiò, nuvole nere a coprire i
fulmini.
«Vedo, Mr Crawford» rispose con voce grave e senza ricambiare
la stretta, «che invece a voi sembra piacere molto Steamfield Park».
Henry incassò con eleganza e ritirò la mano, poi si volse
verso Fanny.
«Per oggi la mia visita di cortesia termina qui». Prese
tra le sue la mano della ragazza e vi depose un bacio leggero. «Arrivederci,
Miss Price».
Lasciò la stanza con l’impeto di una folata di vento,
mentre Edmund e Fanny, in piedi l’uno di fronte all’altra, si guardavano in
silenzio.
Alcuni istanti dopo, la carrozza meccanica di Crawford
lasciò Steamfield Park sferragliando tra gli alberi.
Monica Serra
Molto bello! Aspetto la seconda parte.
RispondiEliminaE' già uscita!
EliminaGrazie mille per l'ospitalità, Infiniti Universi Fantastici!
RispondiEliminaGrazie a te per il racconto!
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