RECENSIONE: LO SCUDO DI TALOS
Autore:
Valerio Massimo Manfredi
Genere:
storico
Editore:
Mondadori, 1990
Pagine:
324
Prezzo:
cartaceo: € 11,90
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Abbandonato dai genitori in tenera età in nome
della crudele legge di Sparta, Talos, lo storpio, cresce tra gli iloti, salvato
e accudito da un vecchio pastore che gli insegna a opporsi a un destino già
assegnato. Nonostante la deformità, il suo coraggio e l'ostinazione ne fanno un
arciere abile e possente, al servizio del prepotente ma intrepido Brithos. Come
tutti i nobili figli di Sparta, Brithos è stato allevato per essere guerriero,
e non sa ancora che un filo di sangue unisce il suo passato a quello di Talos.
Ma la sorte schiera i due uomini fianco a fianco nella lotta contro gli invasori
persiani.
Finora
non avevo avuto molta fortuna col Manfredi scrittore: avevo iniziato un suo
romanzo sui Faraoni, e l’ho abbandonato dopo pochi capitoli; un suo racconto
ambientato a Venezia non mi era piaciuto affatto; finalmente ho trovato un romanzo
con cui ricredermi.
Ho
scelto tra i tanti questo ambientato nell'antica Grecia perché mi occorrevano fonti storiche , e anche ,
perché no, ispirazione, per un romanzo che sto scrivendo.
Il
romanzo, pubblicato per la prima volta nel 1988, si divide in due parti: nella
prima assistiamo all’abbandono del protagonista neonato da parte del padre
perché zoppo, un nobile spartiata, su Taigeto; qui viene soccorso da un vecchio
ilota
(per chi non lo sapesse, gli Iloti sono gli schiavi degli Spartani, i Messeni
da loro sconfitti secoli prima), viene cresciuto da lui che lo chiama Talos; a un certo punto
arriva una sibilla che gli profetizza un futuro diverso. Poi un giorno il
vecchio gli mostra l’armatura del leggendario re di Ithome, la capitale distrutta e perduta
dei Messeni, e si capisce che il giovane avrà a che fare con essa. Talos si imbatte un giorno in Brithos, e qui inizia
una serie di avvenimenti che non voglio spoilerare.
Nella
seconda parte del romanzo ormai Talos ha cambiato identità, si chiama Kleidemos
ed è diventato un feroce guerriero. Il tutto è condito da drammi familiari,
amore e soprattutto guerra: c’è la ormai stranota battaglia delle Termopili con
i 300 capitanati dal re Leonidas, e ci sono altri fatti storici inseriti con
ammirabile maestria nelle vicende del protagonista, come la battaglia di Platea,
il terribile terremoto che distrusse Sparta, il tradimento di Pausania e la
rivolta degli Iloti (non è spoiler, eh! Sono fatti storici).
Lo
stile è curato e scorrevole, magari oggi come oggi qualcuno potrebbe reputarlo
un po’ datato, per me invece va bene così perché adatto all’argomento. Il
finalissimo non mi ha convinto del tutto, ma ci può stare.
In tutta sincerità , nonostante il romanzo mi
sia piaciuto, non ho trovato particolarmente avvincente né originale:
ricalca il noto schema dello sfigato che scopre di essere molto più di quello
che è, cade a un certo punto in depressione, è confuso e poi si riprende alla
grande. C’è però da dire che sono passati
circa 30 anni dall’uscita del romanzo, e di acqua sotto i ponti ne è passata
parecchia. Quando ho letto il brano delle Termopili, descritto benissimo, ho
pensato: “No, ancora i 300!” , poi mi sono ricordata che all’epoca (1988,ripeto)
ancora non era un tema stranoto come adesso, data l’uscita, nel frattempo, di
numerosi film, fumetti e quant’altro. Manfredi quindi è stato un precursore.
Tutte
le battaglie inserite nel romanzo sono narrate alla perfezione, sembra di trovarsi lì.
Gli
usi e i costumi locali compaiono in più punti, senza essere didascalico
Manfredi mostra un mondo lontano e
perduto in cui si viene totalmente immersi, e
le vicende del protagonista e dei comprimari sono inserite alla
perfezione nel susseguirsi dei fatti storici.
Mi sono chiesta perché secondo l’autore i sissizi sono dei
battaglioni: io ho sempre saputo che sono i pasti in comune a cui gli spartiati
dovevano partecipare e contribuire. Anche
circa la Krypteia avrei dei dubbi, in quanto Manfredi la vede come una sorta di
polizia segreta, seguendo una scuola di pensiero, mentre per la maggior parte
degli studiosi è un altro dei rituali facenti parte dell’ agoghè dei giovani
spartani. C’è da dire che la certezza al 100% non c’è su questi argomenti; li avrà utilizzati come
più gli faceva comodo, o come gli pareva
meglio per il romanzo.
A metà
libro si accenna anche al’omosessualità: capisco che all’epoca in cui è stato
scritto era ancora tabù parlarne, quando è risaputo che nell’Ellade era molto
diffusa e praticata, sia tra adulti che tra educatori e giovani (ahimè sì),
quindi anche se Manfredi ne parla in modo marginale e incompleto è stato pur sempre
un passo avanti; anche qui è stato un precursore.
Il
vocabolo per me più fastidioso del
romanzo è quando scrive “Greci” anziché
“Ellenici”, come si auto- chiamavano i Greci all’epoca. Perchééééé?!?
Anche
se non ci sono molti colpi di scena, e a un lettore smaliziato potrebbe
sembrare tutto poco originale (ma , ripeto, è stato scritto 30 anni fa) Lo
scudo di Talos va letto perché riesce a immergere completamente il lettore in
quell’epoca lontana, trasportandolo in tempi,
luoghi e stili di vita
lontani e perduti, con uno stile
accattivante e lineare.
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